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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2012 alle ore 12:07.

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Nella coscienza di molti le feste di Pasqua e di Natale si richiamano a vicenda: l'una, quella di Natale, viene sentita come festa della nascita e della vita, l'altra, quella di Pasqua, come festa della vittoria sulla morte.
Quest'anno però c'è un motivo particolare per richiamare l'ultimo Natale, quello del 2004. Mentre infatti erano ancora nell'aria gli echi dell'augurio di pace , proprio il giorno dopo Natale, il 26 dicembre scorso, si diffuse la notizia di un terribile maremoto, chiamato col nome giapponese di tsunami, che con l'avanzare di un'enorme onda marina mieteva centinaia di migliaia di vittime in diversi Paesi del continente asiatico. Le immagini di quei giorni sono ancora vive nella nostra memoria: valanghe di acqua che si rovesciano per le strade trascinando ogni cosa e uccidendo innumerevoli persone, feriti abbandonati a se stessi, genitori affranti che cercano invano i figli scomparsi, bambini rimasti soli vittime della fame e della sete, persone private di ogni mezzo di sostentamento, pericolo del diffondersi di epidemie. É come se alla luce del Natale fossero succedute improvvisamente tenebre orrende.

Dove era Dio? Se esiste, come ha permesso questo? Si sono chiesti molti a mano a mano che le notizie della catastrofe ce ne mostravano un'immagine sempre più distruttiva e crudele. Non soltanto non c'è stata in quella occasione una vittoria della vita, ma piuttosto lo spettacolo tremendo di uno strapotere della morte. Tutti, credenti e non credenti, ci siamo sentiti interiormente scossi e sconvolti. Le nostre certezze ci sono apparse fragili, dubbio e disperazione ci hanno attanagliato lo spirito. L'urgenza di dare un aiuto a tanta povera gente priva di tutto ha per un po' tacitato gli interrogativi più profondi. Ma essi erano destinati a riemergere, perché il pensare e non solo il fare è la nostra condizione di vita.

Dove era dunque Dio? E se esiste, come può permettere cose simili?
Le inevitabili domande di senso riguardo a tali eventi, e in particolare la domanda fatta a Dio o su Dio, sono legittime. La Bibbia non ha neppure timore, in casi limite (vedi il libro di Giobbe e i Salmi) di muovere accuse a Dio. Ma le nostre domande sono ben poste? Esse presuppongono di fatto una visione del mondo radicata da millenni nel cuore dell'uomo e che si trova spesso anche nell'inconscio di chi dice di non credere più in Dio. É la visione di un cosmo ordinato, sul quale il Creatore veglia come un buon padre sui suoi figli per fa sì che la natura riveli qualcosa della sua bontà. Se le cose non vanno in questo senso, un Dio così è posto in questione.
Ma oggi noi sappiamo, per scienza e per esperienza, che le cose non vanno così. Tutto ciò che conosciamo del carattere evolutivo del cosmo contraddice a questo quadro idilliaco. Catastrofi e cataclismi di ogni genere hanno caratterizzato lo sviluppo dell'universo fin dal primo momento. L'evoluzione porterà anche all'affermarsi di organismi sempre più complessi, ma il prezzo pagato è alto. É solo il fatto che noi siamo abituati a ragionare su tempi molto brevi che ci impedisce di rifarci spontaneamente a una visione più realistica dell'universo, dominato da forze gigantesche che operano nei tempi lunghi e che non hanno sentimenti né di compassione né di pietà.

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