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Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2012 alle ore 21:12.

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«La responsabilità impone a tutte le forze politiche presenti in Parlamento di accelerare il confronto sulla legge elettorale, se necessario direttamente nell'aula di Palazzo Madama». Il presidente della Camera Gianfranco Fini, uscendo dal Quirinale dopo un faccia a faccia con Giorgio Napolitano, fa capire bene l'aria che tira. Già il presidente del Senato Renato Schifani, ricevuto prima di Fini al Colle, aveva sollecitato un accordo politico ad horam senza il quale il testo sarebbe andato in Aula a Palazzo Madama. La riunione dei capigruppo è prevista per martedì, e se non ci saranno novità la calendarizzazione della legge elettorale sarà fissata in quella sede.

A voler accelerare sono soprattutto Pdl e Udc, che tentano in questo modo di mettere il leader del Pd Pier Luigi Bersani al muro con la logica dei numeri. Pdl e Udc (e con loro anche la Lega) sono infatti schierati per un sistema proporzionale con preferenze, sbarramento al 5% e piccolo (massimo il 10%) premio di maggioranza al solo primo partito. Mentre Bersani, in testa nei sondaggi e l'unico fin qui ad aver messo in piedi una sia pur complicata coalizione con Sel di Nichi Vendola, insiste sul nodo governabilità e fissa il premio almeno al 15%.

La fotografia attuale ritrae immagini rigide, difficilmente modificabili nella prossime ore. Il punto, naturalmente, non è nei cinque punti di premio ma squisitamente politico: un sistema sostanzialmente proporzionale con un premio che non garantisce la maggioranza dei seggi a chi arriva primo, aprendo così la strada alla grande coalizione e dunque al Monti bis, è esattamente quello che il Pd di Bersani non vuole. «Governabilità» è la parola d'ordine dei democratici, da Anna Finocchiaro a Luciano Violante. «Pdl e Udc tendono a realizzare una legge di natura proporzionale al punto da favorire l'assenza di una maggioranza politica e la necessità di ricorrere alla grande coalizione – dice chiaramente lo sherpa democratico della prima ora Violante, che un po' provocatoriamente rilancia un Mattarellum "corretto" in tre punti –. Il terreno del conflitto non consiste più nella ricerca delle regole migliori quanto nell'obiettivo che si vuole perseguire».

Per Silvio Berlusconi (in questa fase) e per Pier Ferdinando Casini (da sempre) l'obiettivo è il Monti bis. Per Bersani l'obiettivo è Palazzo Chigi con un governo di larga coalizione dai centristi ai vendoliani. Non sono certo questioni che si risolvono in week end. A ragione Denis Verdini, plenipotenziario del Pdl nella trattativa sulla legge elettorale, fa notare che «si può fare tutto, però c'è una data prima della quale è difficile che si sblocchi qualcosa: parlo del discrimine importante delle elezioni siciliane che si svolgeranno il prossimo 28 ottobre».

Berlusconi vuole insomma testare il peso del Pdl e la vitalità dell'alleanza Udc-Pd che sostiene il candidato alla presidenza della Sicilia Rosario Crocetta. Dopodiché, se l'accordo si vorrà davvero fare, dal punto di vista tecnico un compromesso si può trovare: ad esempio un premio più basso (del 10 o del 12%) potrebbe essere accettato da Bersani in cambio dei collegi uninominali a posto delle proferenze (i collegi introdurrebbero infatto un elemento maggioritario in più). Ma, appunto. è presto. Intanto si va a un pericoloso show down in Senato.

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