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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2012 alle ore 22:46.

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TARANTO - Tutti contro tutti. Il ministro Corrado Clini contro la magistratura di Taranto; Bruno Ferrante, presidente Ilva, contro la Gip Patrizia Todisco. Gli operai, poi, frammentati in quattro e più tronconi. La guardia repubblicana, come chiamano gran parte dei dipendenti della provincia di Taranto fedeli ai Riva, aziendalisti a oltranza, Fim e Uilm contro Fiom, il comitato dei cittadini liberi e pensanti dalla parte dei giudici ed estremamente duri nei confronti dell'azienda e della politica; gli scalatori dei camini pro azienda e antisindacato.

Ormai l'Ilva è diventato una sorta di Babele. Il tappo è saltato dopo troppi anni di silenzi, omissioni, un rapporto con la città che i Riva hanno vissuto con evidente ambivalenza. Rimettere insieme i cocci, dopo aver investito come ministro plenipotenziario uno come Girolamo Archinà, non sarà facile. La crisi sta sbriciolando un tessuto imprenditoriale di prim'ordine.
Guido Piovene, nel suo Viaggio in Italia (1954) attinge al suo migliore repertorio lirico per raccontare l'incantamento e la bellezza orientale che era nelle parole e nei comportamenti prima che nel paesaggio.

Taranto è la provetta dentro la quale si sta sperimentando un salto di qualità da parte di tutti gli attori sociali, politici ed economici che ruotano attorno all'Ilva. L'ansia e la voglia di cambiamento sono persino troppo forti e sorretti da spinte emozionali che paradossalmente rischiano di riportare indietro le lancette dell'orologio. Il tutto e subito è demagogico. Ci vuole tempo, un piano credibile e condiviso, un cronoprogramma di ammodernamento dell'acciaieria inflessibile ma praticabile, interlocutori che non si trincerino dietro i tecnicismi delle loro corporazioni. Troppe cose insieme, forse, nell'Italia fragile e impaurita di questi anni.

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