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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2012 alle ore 10:46.

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Le elezioni comunali a Napoli nella primavera del 1952 videro Achille Lauro scendere in prima persona nell'agone politico. Le cronache raccontano che Lauro arringasse la folla nei suoi comizi e la sua propaganda fosse capillare, quartiere per quartiere.

Poi, qualcuno a suo nome bussava alle porte e distribuiva pacchi dono, derrate alimentari, scarpe e banconote tagliate. In cambio chiedevano voti. Leggende metropolitane?
Galoppini del Sud, si dirà. I tempi non sono poi tanto cambiati se è vero che nel Mezzogiorno, le indagini sulla compravendita dei voti si affacciano ad ogni competizione.

Milano 2012. Sessanta anni dopo, questa volta a Milano, un'indagine della Dda porta alla luce una presunta compravendita di voti da parte di un'assessore "pesante" alla Regione Lombardia: alla casa. Domenico Zambetti avrebbe, secondo l'accusa, comprato un pacchetto di voti. Non più mille lire a metà ma 50 euro sonanti a voto per 4 mila preferenze complessive e 200mila euro. Un investimento tutto sommato esiguo sol che si pensi che con la busta paga di un consigliere regionale, questa spesa si ripaga in meno di due anni. Un investimento che può dare i suoi frutti se applicato ad un settore delicato – voluto? cercato? frutto di un patto anch'esso? – come quello dell'edilizia residenziale pubblica dove girano interessi economici vertiginosi e possibilità di scambi di favori sopraffini.

Nella stessa indagine, inoltre, sembra che qualcosa di poco chiaro ci sia stato, per taluni candidati, anche nelle elezioni comunali 2010.
Una voce interna al nucleo investigativo dei Carabinieri – che per ovvie ragioni non compare – afferma: la storia che la mafia a Milano non esiste ora non girerà più dopo questa operazione.

Vero. Ma è vero da tempo solo che un conto sono le leggende metropolitane, un altro le risultanze investigative e, un domani, le prove provate in dibattimento e la eventuale condanna passata in giudicato.
Un percorso lungo, lunghissimo che però, nell'attesa, non cancella una certezza: da tempo la ‘ndrangheta è padrona di migliaia di pacchetti di voti a Milano come a Torino, a Reggio Emilia e a Roma.

La mutazione genetica è che se fino a qualche anno fa erano le cosche – presenti in Lombardia come in Emilia come nel Lazio – a presentarsi timidamente al candidato, ora è il candidato che si offre al voto inquinato. O meglio: nella cupola illegale che governa la politica, gli attori distorti si incontrano spesso a metà strada in un cammino politico-economico comune. Ora c'è da chiedersi quanto profondo sia questo cancro che a Milano, oggi, porta alla luce un nuovo episodio. La sensazione è che sia molto più profondo di quanto si pensi e basti ricordare che già l'indagine Il Crimine/Infinito del 13 luglio 2010 aveva fatto affiorare il problema anche se poi la Procura non riuscì a dare forma alle ipotesi investigative.

La conseguenza di questa riflessione è: in cambio di cosa avviene il mercimonio dei voti? La controprestazione, è ovvio, sono lavori, forniture di servizi, concessioni, licenze, autorizzazioni, modifiche di piani regolatori e tutto quanto può rendere il mercato meno libero e ingessato a favore dei soliti noti. In questo modo l'economia viene continuamente drogata da soggetti estranei al corpo originariamente sano della società che a sua volta ha sempre meni anticorpi per resistere al virus. Il batterio cammina e con nuovi patti politica-mafia continua a erodere fette di appalti pubblici, servizi alla collettività e ingerenze in ogni settore dell'economia legale. Un vulnus sempre più profondo alla democrazia. Questo è quanto c'è dietro lo scambio di voti: da Napoli a Milano. E' bene che il Nord si renda conto che Lauro o Brambilla, la musica è la stessa. Cambiano solo gli orchestrali.

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com

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