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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2012 alle ore 08:52.

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TOKYO - «Senza crescita è incredibilmente difficile ridurre il debito pubblico». Christine Lagarde, managing director del Fondo monetario internazionale, ha aperto questa mattina l'assemblea annuale di Fmi e Banca Mondiale con un messaggio contro eccessivi rigorismi nell'affrontare i problemi del debito pubblico che hanno messo in crisi l'Eurozona ma gravano anche su altri Paesi industrializzati: la strada da percorrere, ha detto, è "stretta e lunga" per bilanciare la necessaria riduzione del debito, negli aspetti quantitativi e di arco temporale, con l'esigenza di non frenare troppo l'economia.

Notando che nei Paesi avanzati il debito pubblico è ora in media al 110% del Pil complessivo (il più alto livello del dopoguerra), la Lagarde non ha mancato di notare che il debito alto rende più difficile ottenere la crescita economica.

Ma ha definito come priorità, assieme al superamento della crisi, il ritorno alla crescita, specialmente per frenare la piaga della disoccupazione. Il tema è davvero centrale e si è infiammato anche sul piano tecnico: parlando a Tokyo, il membro del Governing Council della Bce Ewald Nowotny ha dichiarato di essere stato "really astonished" dalle conclusioni dell'ultimo rapporto del Fondo Monetario, secondo le quali le misure di austerità degli ultimi anni hanno avuto un effetto depressivo sull'economia decisamente maggiore di quanto si pensasse prima: ciò potrebbe indicare, ha detto, che i programmi non erano realistici fin dall'inizio e che sarebbe forse meglio "essere più flessibili in economia e meno flessibili in politica".

Nel suo discorso inaugurale, la Lagarde ha anche sottolineato che occorre accelerare la riforma di un sistema finanziario che "nonostante alcuni progressi non è ancora molto più sicuro dei tempi della Lehman". Ma che le riforme siano difficili da attuare, lo dimostra lo stesso Fondo Monetario con i ritardi nell'attuazione dei cambiamenti alla sua governance che darebbero maggiore voce in capitolo ai Paesi emergenti, portando Brasile, Cina, India e Russia per la prima volta tra i primi 10 membri-azionisti. Il piano, approvato nel 2010, girerebbe il 6% delle quote agli Paesi emergenti (9% in totale dall'inizio della riforma precedente del 2006). Ma non è stato ottenuto ancora l'85% dei voti necessari per l'attuazione della riforma: siamo a oltre il 75% e le riluttanze statunitensi rallentano il processo, suscitando l'irritazione dei Paesi emergenti. Lagarde ha chiesto nuovamente di chiudere in fretta. Per il resto, ha lodato i Paesi che da inizio anno hanno rafforzato la dotazione del Fondo di 456 miliardi di dollari, portando il totale della capacità di intervento a oltre mille miliardi di dollari. Finora, dalla crisi, l'Fmi ha impegnato 540 miliardi di dollari e ne ha sborsati effettivamente 157 miliardi in 126 programmi di prestito, di cui 69 condizionati e 57 non-sottoposti a condizioni particolari.

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