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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2012 alle ore 14:06.

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Dieci a zero per Walter Veltroni, perde (per ora) Massimo D'Alema. L'annuncio più che mai tempestivo del fondatore del Pd di non ricandidarsi in Parlamento spiazza un po' tutti i dirigenti democratici. Ma più di tutti espone l'eterno amico-nemico D'Alema alla responsabilità di una scelta. L'ex premier aveva a lungo meditato di lasciare negli scorsi mesi, ma proprio gli attacchi ormai quotidiani del giovane Matteo Renzi lo hanno convinto a resistere.

Lo sketch che il sindaco di Firenze ripete sempre, e sempre con successo, nel suo tour in giro per l'Italia per le primarie riguarda proprio lui, D'Alema. «D'Alema dice che se vinco io finisce il centrosinistra, io dico che l'unica cosa che rischia di finire è la sua carriera politica». E giù applausi. Chiunque ne sarebbe infastidito e innervosito, fanno notare i collaboratori dell'ex premier. Non è certo un caso che oggi, a poche ore dall'annuncio di Veltroni, più di seicento politici, imprenditori, esponenti dell'associazionismo e del mondo accademico del Sud hanno comprato una pagina sull'Unità per pubblicare un appello in favore di D'Alema «punto di riferimento» nella battaglia per «la sfida di governo».

Ad ogni modo D'Alema non ha ancora deciso, e a questo punto si prenderà un po' di tempo prima di fare eventuali annunci. Dubbi e dispiacere di non essere stato difeso sono stati espressi anche al segretario Pier Luigi Bersani in un lungo colloquio avuto venerdì alla Camera. Bersani confida nelle scelte autonome dei big, vuole il rinnovamento ma senza strappi e forzature.

Nel caso di una personalità come D'Alema, poi, il problema di restare "disoccupato" non si pone. Sono in molti nel partito a far notare che sarebbe il candidato ideale per qualche incarico europeo di prestigio, anche alla presidenza del Parlamento di Strasburgo. Per il resto sarà il partito stesso a fissare le annunciate deroghe alla regola, fissata dallo statuto e voluta proprio da Veltroni, del tetto dei 15 anni in Parlamento. Prima delle ultime elezioni le deroghe furono rilasciate per gli ex premier, per i capigruppo e per i vicepresidenti delle Camere.

Anna Finocchiaro, capogruppo in Senato e in Parlamento da 25 anni, si rimette appunto alle decisioni del partito ma non nasconde di essere molto amareggiata. Da parte sua un'agguerrita Rosy Bindi, per niente intenzionata a lasciare e comunque vicepresidente della Camera, confida nella sua carica di presidente dell'assemblea del Pd per contribuire a dettare i criteri per le deroghe. Nessun problema per Dario Franceschini, capogruppo alla Camera e parlamentare "solo" dal 2001. Oltre 15 anni di carriera parlamentare anche per l'ex popolare Giuseppe Fioroni, che ha già annunciato di non voler mollare: «Io combatterò fino alla fine». Un'altra resistente in Parlamento da 25 anni, l'ex ministro Livia Turco, ha detto che si ritirerà solo se lo faranno anche gli altri. Oltre 20 anni di Parlamento anche per Anna Serafini, moglie di Piero Fassino, in questi giorni silente. Ci stanno seriamente pensando Marco Follini ed Enrico Morando, anche loro in Parlamento da più di 15 anni. Hanno invece già deciso che non si ricandideranno grandi vecchi come l'ex leader della Cisl Franco Marini e come l'ultimo segretario del Ppi Pier Luigi Castagnetti, che melanconicamente fa sapere che «è un momento buio, confido in una riscossa civica degli italiani».

Fuori dal Parlamento anche la pur giovane Giovanna Melandri, eletta per la prima volta nel 1994 conquistando in una Roma assediata dal la novità di Forza Italia l'unico collegio al centrosinistra (quello di Monteverde-Testaccio): si dedicherà all'impegno umanitario con un'iniziativa che sarà lanciata nelle prossime settimane.

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