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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2012 alle ore 10:50.
L'ultima modifica è del 19 ottobre 2012 alle ore 10:55.

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Silvio Berlusconi stringe la mano al procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini (Ansa)Silvio Berlusconi stringe la mano al procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini (Ansa)

Le serate di Arcore? «Mai svolte scene di natura sessuale a casa mia». Ruby? «Mai avuto rapporti intimi con lei». Le telefonate in questura? «Mai esercitato pressioni sui funzionari. Mi sono limitato a dare e chiedere un'informazione». Silvio Berlusconi ha parlato per trenta minuti questa mattina nell'aula del tribunale di Milano dove è imputato di concussione e prostituzione minorile. Una difesa a tutto campo del suo operato - e non poteva essere altrimenti - ma anche un pesante attacco alla procura di Milano.

Nell'ultima parte delle sue dichiarazioni spontanee è stato il Silvio Berlusconi politico a prevalere sul Berlusconi imputato. «Leggo che mi avete già condannato», ha detto ai giudici della quarta sezione penale. «Spero che non sia cosi, perchè sarebbe una barbarie e significherebbe che l'Italia non è una democrazia». Poi l'affondo. «Avrei voluto rispondere alle domande, ma vent'anni di attività della procura di Milano per costruire accuse contro di me, me lo hanno sconsigliato e quindi ho deciso, contro il parere di molti, di parlare con queste dichiarazioni in cui ho ricostruito la realtà dei fatti».

Un duro attacco ai magistrati di Milano, pronunciato in un'aula di tribunale e davanti al pubblico ministero Ilda Boccassini, accusata qualche mese fa da Daniela Santanchè di essere la «metastasi» della democrazia. Eppure, prima dell'inizio dell'udienza, Berlusconi si era avvicinato alla Boccassini per stringerle la mano. Una stretta fredda con un sorriso meccanico. «In Italia, che è il Paese che amo, deve esserci la certezza sull'imparzialità dei giudici», sono state le ultime parole dell'ex presidente del consiglio. «Il Paese che amo», lo slogan che portò l'imprenditore Berlusconi al successo nel 1994, è apparso una formula logora e stanca nell'aula del palazzo di giustizia, dopo venti anni trascorsi al centro della vita politica italiana.

Berlusconi ha preso posto tra i suoi due avvocati - il deputato Pdl Niccolò Ghedini e il senatore Pdl Piero Longo - e ha letto alcuni appunti dove era riassunta la sua linea difensiva.
Per prima cosa, Berlusconi ha tentato di smontare l'accusa che le serate di Arcore fossero dei festini a base di sesso. «Posso escludere con assoluta tranquillità che si siano mai svolte scene di natura sessuale a casa mia», ha esordito. «Tutto avveniva alla presenza del personale della sicurezza e dei tecnici. Le serate di Arcore si svolgevano con delle cene in una grande sala da pranzo, nelle quali io ero al centro della tavola e monopolizzavo l'attenzione cantando, parlando di sport, di politica, di gossip. Non ho mai avuto timore che i miei ospiti raccontassero di accadimenti indecenti nella mia abitazione».

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