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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2012 alle ore 06:36.

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«In questo settore iper-regolamentato è fondamentale avere una lobby o una copertura politica. Ce l'hanno tutti. Dai big ai più piccoli». È questa la premessa che ci fa una persona molto esperta del mondo del gioco d'azzardo legale italiano. Che continua: «Francesco Corallo, proprietario di fatto di Atlantis World Giocolegale, poi diventata BPlus, aveva cominciato le sue attività nel campo dei videogiochi legato all'area di An».


«Dopo un inizio tormentato, le cose si erano messe bene e Corallo aveva raggiunto il 30% circa di quel mercato. Ma la rottura tra Fini e Berlusconi ha fatto saltare tutti gli equilibri. E la guerra intestina che ne è conseguita ha rovinato tutto».
Era "un bel giocattolino", invece è diventato lo specchio della commistione tutta italiana tra business, finanza e politica. E i suoi protagonisti principali sono, uno alla volta, finiti sotto inchiesta. O nei pasticci. Parliamo dello stesso Corallo, dell'ex presidente di Bpm Massimo Ponzellini che lo ha finanziato per quasi 150 milioni di euro, del suo spicciafaccende Antonio Cannalire. E poi dello stesso Fini.
Dagli atti del procedimento contro i primi tre che il pm Roberto Pellicano ha messo in piedi a Milano con il collega Mauro Clerici, sono ora emerse delle carte che sembrano confermare un'accusa che il presidente della Camera ha sempre respinto con grande fermezza: quella di aver favorito la vendita al cognato Giancarlo Tulliani di un appartamento a Montecarlo che una nobildonna romana aveva donato ad An. A prezzi stracciatissimi.
Come ha rivelato per primo il settimanale L'Espresso, nel computer di Corallo sequestrato dal Nucleo di Polizia Tributaria di Milano guidato dal Colonnello Vincenzo Tomei, punta di diamante della polizia giudiziaria meneghina, sono state individuate copie elettroniche di documenti che legano sia Giancarlo Tulliani che sua sorella Elisabetta, moglie del presidente della Camera, a James Walfenzao, strettissimo collaboratore di Corallo in Atlantis/BPlus (vedi pezzo sopra).
Ma per capire le cause di questa vicenda occorre ricostruire il contesto politico-affaristico-finanziario che l'ha prodotta. Per questo Il Sole 24 Ore si è avvalso della "consulenza" di due testimoni diretti che hanno chiesto l'anonimato.
Il matrimonio
tra due realtà
Da una parte dell'Atlantico, nei Caraibi, c'erano Francesco Corallo, figlio di Gaetano che gli inquirenti milanesi ritengono «in passato in affari con il clan catanese dei Santapaola», e il suo factotum professionale James Walfenzao, esperto in ingegneria fiduciaria, trust e scatole più o meno vuote. Dall'altra, qui in Italia, un gruppo di personaggi strettamente legati ad An che avevano deciso di entrare in un business che prometteva di essere estremamente redditizio, quello dei videogiochi, ma nel quale non avevano alcun know how. «Tutto nasce da una società, Bit Media, vicina ad An, in particolare all'area di Andrea Ronchi. Nel 2004 mette in piedi una prima cordata, nella quale Corallo aveva un ruolo di semplice finanziatore», ci dice il primo testimone. «Una volta ottenuta la concessione cominciano però i problemi operativi. Che si risolvono solo quando Corallo decide di intervenire in prima persona e liquidare i soci, prendendo il controllo di tutto».

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