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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2012 alle ore 08:38.
L'ultima modifica è del 23 ottobre 2012 alle ore 08:38.

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Il resto della storia è noto: la Cartotecnica chiede ripetutamente di chiudere la pratica per poter costruire il nuovo stabilimento ma delle carte non c'è più traccia. Sono finite in un altro ufficio? Si, ma quale? A Roma? «Non sappiamo se e quando ci sarà una risposta. È un destino comune, pare, per opere di importo inferiore ai 5mila euro, giudicate in qualche modo di minore importanza». È stallo totale. Impossibile qualsiasi operazione. E da manuale di burocratese è la risposta dell'Agenzia del Demanio: «Non rientra nelle proprie competenze emettere pareri in merito all'anticipata occupazione dell'area demaniale idrica per l'ampliamento del fabbricato industriale trattandosi ancora di aree demaniali pubbliche appartenenti al ramo idrico e pertanto in gestione alla Regione». Chi fa impresa, ma non solo, non chiede "pareri", vorrebbe semplicemente un "si" o un "no" e poter continuare a fare il proprio lavoro.

Il Parco che soffoca l'azienda
Non si può ampliare l'attività; bisogna anticipare le spese di manutenzione che la pubblica amministrazione poi non rimborsa perché è a corto di fondi; non si riesce più neppure a vendere, perché i vincoli posti sull'area sono tali da aver praticamente annullato il valore di mercato dell'azienda. È la vicenda di Alberto Zanetti, imprenditore agricolo, vicepresidente della Confagricoltura di Bologna. Non è un caso isolato ma una realtà con cui stanno facendo i conti almeno 70 aziende agricole che da un giorno all'altro si sono ritrovate dentro i confini di un parco, quello dei Gessi bolognesi e calanchi dell'abbadessa. «La mia azienda, 85 ettari tra vigneti e seminativi, coltiva da oltre un secolo queste colline, ben prima che fosse istituito l'ente parco, a inizio anni 90 – racconta Zanetti -. Per installare sul tetto del capannone un impianto fotovoltaico ho passato sette mesi tra autorizzazioni in Comune, ente parco e sopraintendenza. Non posso né costruire né spostare all'interno della mia proprietà la volumetria di un grosso edificio che sta crollando e mi servirebbe in un'altra zona della tenuta. Ormai è un immobile a valore zero». Ma è tutta l'azienda agricola ad essersi deprezzata: «I vincoli si fanno ogni giorno più stringenti. Non si può investire ma ci si deve far carico, senza aiuti, non solo della manutenzione del paesaggio ma di tutti i sistemi per la prevenzione dai danni da animali selvatici, per poi avere rimborsi irrisori di fronte a intere coltivazioni distrutte da ungulati».

(hanno collaborato: Barbara Ganz, Franco Sarcina e Ilaria Vesentini)

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