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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2012 alle ore 11:00.

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Con quali prospettive?
Il futuro sarà quello di tutti i grandi giornali europei: edizioni cartacee con minor foliazione, concentrate su analisi e commenti, e con il sito web per le notizie. È una tendenza che si è manifestata già negli Stati Uniti e si sta sviluppando anche in Europa. Il Guardian si sta ponendo il problema se andare tutto su digitale ed eliminare la carta. Noi non siamo a questo punto. Continuiamo a credere nel cartaceo. D'altra parte Repubblica resta il quotidiano più letto d'Italia e i nostri giornali locali sono in crescita. Siamo primi nella carta, siamo primi nel digitale, prenderemo nuove iniziative su digitale e vogliamo mantenere la leadership su carta. Andiamo avanti con la consapevolezza e la fiducia di avere un futuro positivo, se continueremo sulla strada intrapresa.

Perché questa scelta di concentrare l'ultima parte della sua vita da imprenditore proprio sull'editoria?
Quella per l'Espresso è l'attività che mi ha dato più grane in assoluto. Ma anche le maggiori soddisfazioni dal punto di vista dell'impegno civile. Io penso che il Gruppo abbia svolto, svolge e svolgerà un ruolo importante per una corretta informazione e per la formazione del pensiero culturale, sociale e politico del Paese. Ne vado orgoglioso, perché credo che contribuire a formare un'opinione pubblica consapevole e matura sia una funzione essenziale nelle nostre democrazie. Con il Gruppo Espresso esprimiamo un'idea di Italia, che è anche la mia idea dell'Italia. Perciò mi ha fatto piacere che i miei figli mi abbiano chiesto di restare a presiederla. Ed era anche il mio desiderio.

Ingegner De Benedetti, lei lascia dopo oltre cinquant'anni di battaglie che hanno contraddistinto un'epoca del capitalismo italiano. Battaglie epiche, da quella in Fiat con Romiti a quelle per la Mondadori e la Sme con Silvio Berlusconi. Che bilancio si è fatto in questi giorni?
Nel momento in cui chiudi la tua vita di imprenditore è ovvio che non puoi che fare i conti con tutto il tuo passato. La somma dei tuoi successi è quello che lasci, la somma dei tuoi insuccessi sono gli errori che hai commesso. Certamente se ognuno di noi potesse tornare indietro nella propria vita cercherebbe di non ricommettere gli errori. E io certamente ne ho fatti. Ma in queste settimane mi sono detto che la vita va vista come una sommatoria di giorni di pioggia e di giorni di sole. Ed io nel complesso sono molto soddisfatto. Credo di poter dire che lascio ai miei figli una realtà imprenditoriale moltiplicata rispetto a quella che mi ha lasciato mio padre e spero che loro possano moltiplicarla ulteriormente in favore dei loro figli.

Un errore grande c'è stato, molto grande.
Lei si riferisce alla scalata all'Sgb. E ha ragione.
Qualcuno si portò avanti e titolò «De Benedetti si compra il Belgio». Poi andò diversamente.
Il mio fu un errore di esecuzione, non di intuizione. Non si trattava di comprarsi il Belgio, ovviamente. L'intuizione era quella di spostare il baricentro di un grande gruppo italiano nel cuore dell'Europa. Eravamo alla metà degli anni 80. Era una visione giusta e in anticipo sui tempi. Purtroppo nella sua finalizzazione l'operazione fu gestita male. E ne abbiamo subito le conseguenze.

Sicuramente ambiziosa.
Avrebbe cambiato la vita del nostro gruppo. E forse anche un po' del capitalismo italiano. È il grande rimpianto della mia vita, non c'è dubbio.

E i computer Olivetti? Ora sono ricomparsi nei negozi, ma lei non c'entra più.
Quella dell'Olivetti è una storia che rivendico con orgoglio. L'ho salvata da una morte che ha interessato tutti i nostri competitor di allora, che si chiamavano Nixdorf, Philips, Siemens, Bull. Con Olivetti ho trasformato una fabbrica di macchine da scrivere in uno dei maggiori produttori di computer mondiali e poi in un grande operatore di telefonia mobile che rompeva un monopolio. La vendita di Omnitel è poi un'altra storia. Io non l'avrei fatta. Così come non avrei scalato Telecom. Ma non c'è dubbio che la vendita di Omnitel produsse una liquidità senza pari tra le aziende italiane.

Ci sarà tempo per bilanci più approfonditi. E agli storici del capitalismo italiano certamente lei di materiale ne ha offerto tanto. Vorrei chiudere, però, con una riflessione più personale. Come si sente stasera?
Fa male il senso di distacco da una creatura che è stata con te tutta la vita. Una realtà cui ho dedicato 50 anni del mio lavoro. Ma prevale un sentimento di gioiosa serenità per quella continuità familiare che questa decisione consacra. Una continuità che parte da mio padre, da quei suoi tubi flessibili, e oggi ha il volto dei miei tre figli, con i quali ho condiviso questa decisione.

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