Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2012 alle ore 13:28.

My24

Uscito di scena Deng, all'inizio degli anni '90, il Partito ha perso il suo apparente assetto monolitico e al suo interno sono andate formandosi diverse fazioni (erano sempre esistite ma, grazie al vuoto lasciato dagli uomini forti, sono riuscite a prendere corpo). Così il Comitato Permanente ha riacquisito la sua funzione istituzionale, diventando al tempo stesso il centro decisionale della politica cinese e lo strumento di mediazione delle diverse anime del Partito.
Per assicurare gli equilibri interni alla nomenklatura, ogni cinque anni, quando il Congresso sostituisce i leader in carica da oltre un decennio o ultrasettantenni, l'organo supremo del Pcc è stato quindi via via costituito da una serie di membri rappresentanti di diversi interessi. Economici, finanziari e politici. E sponsorizzati dai vecchi padri della nazione, che continuano a muoversi e a manovrare dietro le quinte della vita politica ufficiale (Xi Jinping sarebbe il delfino dell'ex presidente Jiang Zemin).
Nonostante le lotte intestine, che come dimostra l'affare Bo Xilai possono diventare anche feroci, in questa sua ricerca del consenso la classe dirigente cinese persegue un solo obiettivo comune: mantenere la stabilità del Paese, condizione necessaria per la sopravvivenza del sistema a partito unico.
Dal 2002, quando fu allargato per garantire maggiore rappresentatività a tutte le fazioni, il Comitato Permanente è formato da 9 membri. Nei prossimi giorni, ben 7 (tra cui Hu e Wen) dovranno lasciare l'incarico ed essere sostituiti. Da mesi le voci di corridoio sussurrano che il Diciottesimo Congresso potrebbe ridurre il numero degli effettivi a 7, in modo da riportare l'organo supremo del Partito alle sue dimensioni ante 2002.
Il taglio avrebbe una sua logica. L'annientamento della fazione di Bo Xilai, infatti, ha ridotto la domanda di rappresentatività dentro al Partito. Quindi, 7 top leader potrebbero essere sufficienti ad assicurare il dibattito interno e la ricerca del consenso.
La lista degli aspiranti al Sacro Soglio del Partito è pronta. Due poltrone toccheranno di diritto a Xi Jinping e a Li Keqiang. Per le altre sono sicuramente in corsa Zhang Dejiang, il Segretario del Pcc di Chongqing; Wang Qishan, vicepremier con le deleghe all'economia; Zhang Gaoli, il numero uno del Partito a Tianjin; Liu Yunshan, direttore dell'Ufficio Propaganda; Li Yuanchao, direttore dell'Ufficio Organizzativo; Yu Zhengsheng, capo della nomenklatura di Shanghai.
Un pugno di uomini ambiziosissimi di cui, al di là delle scarne biografie ufficiali, si sa poco o nulla. Neppure a quale fazione appartengano, o a quale gruppo d'interessi, consorteria, lobby facciano riferimento. In questa indecifrabile ambiguità, dove è arduo se non impossibile interpretare perfino gli aspetti più elementari delle relazioni umane e politiche - cioè chi è alleato di chi e chi è avversario di chi - si ritorna alla domanda iniziale. Che resta senza risposta: chi ha scelto questi uomini? E perché?
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La piramide del potere
Il passaggio del testimone
La transizione di potere in Cina ha i suoi riti immutabili e avviene ogni dieci anni. Da mercoledì a Pechino comincia il 18° Congresso del Partito comunista cinese che dovrà sancire ufficialmente l'ascesa di Xi Jinping e di Li Keqiang rispettivamente alla carica di presidente e di premier. L'appuntamento è stato preceduto nei mesi scorsi da una resa dei conti all'interno del Partito che ha portato alle spettacolare estromissione di Bo Xilai, esponente di spicco della corrente neomaoista.
Le priorità
La nuova classe dirigente dovrà riequilibrare i fattori di crescita dell'economia cinese, rendendola meno dipendente dalle esportazioni, orientare la produzione verso un più elevato valore aggiunto e ridurre il peso delle aziende di Stato, spesso inefficienti.

Shopping24

Dai nostri archivi