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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2012 alle ore 10:41.

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La Roma giallorossa è prossima alle lacrime. Dopo il danno, la beffa. Meglio, la punizione. Il giudice sportivo ha deciso di infliggere tre turni di stop a Daniele De Rossi per il pugno girato nel derby al laziale Mauri. Nessuno sconto, quindi. Il gesto era ed è da censurare, non ci sono attenuanti che lo giustifichino, la boxe è un'altra storia. Ne è convinta anche la Roma, che molto probabilmente non presenterà ricorso e valuterà a stretto giro di posta se punire con una forte multa il suo centrocampista.

Sì, perché ora la squadra dovrà fare a meno di lui per quasi un mese e va bene che De Rossi non figurava ormai da qualche settimana nell'elenco degli intoccabili di Zeman, ma ciò non toglie che si possa scaricare in campo lo stress raccolto negli spogliatoi. Bye bye azzurro. De Rossi fuori anche dalla Nazionale. Prandelli ha preferito lasciarlo a casa, non figura infatti tra i convocati per l'amichevole di domani contro la Francia. Il codice etico inaugurato dal ct non ammette (quasi mai) eccezioni.
Otto presenze in 12 giornate di campionato, di cui una da sostituto in corso d'opera. Un'ammonizione, un'espulsione, zero gol e tanta panca. Come non era mai successo prima nelle ultime 7 stagioni da protagonista nel club dei lupacchiotti.

De Rossi il fenomeno, De Rossi il Capitan futuro (perché fino a poco tempo fa si pensava potesse prendere il posto di Totti il gladiatore nel cuore dei tifosi) sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua onoratissima carriera. Ha 29 anni, è ancora lontanissimo dalla pensione, eppure Zeman il terribile non è convinto delle sue prestazioni e del suo approccio al lavoro durante la settimana. Tanto che l'ha punito, insieme con un altro rivoluzionario, Osvaldo, consegnandogli in occasione della partita contro l'Atalanta la pettorina da panchinaro.

Un gesto forte, per chiarire le logiche del pallone in salsa boema. "Pensano ai fatti loro", l'accusa del tecnico. Musi lunghi. Sorrisi di circostanza. E un carico grande così di delusione. De Rossi non è contento e si vede. Il pugno a Mauri di domenica scorsa rappresenta lo zenit di un percorso di sofferenza interiore che non ha precedenti nella biografia del giocatore giallorosso.
C'è chi dice, e sono ormai in molti, che presto, magari già a gennaio, De Rossi e la Roma prenderanno strade diverse. Perché la convivenza forzata non aiuta certo a rendere spumeggiante e sereno l'ambiente. Perché in qualche modo occorre intervenire per risolvere un problema che nella capitale vivono intensamente, con un trasporto da romanzo d'appendice.

E siccome, come usava ripetere Ennio Flaiano, maestro dell'elzeviro declinato al quotidiano, "i giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume", è necessario procedere spediti verso una soluzione che accontenti tutti. Se Zeman continuerà a governare a Roma, e dalla società fanno sapere che le intenzioni sono queste, anche se classifica dice che le cose sarebbero dovute andare molto meglio, per De Rossi non c'è speranza.

I due non legano, è un dato di fatto. E allora, tanto vale salutarsi e augurarsi ogni bene. Sabatini ha aperto le porte del mercato, Baldini le ha chiuse. La sostanza è però una sola: se Manchester City e/o Psg dovessero bussare alla porta del club capitolino per chiedere notizie di Capitan futuro, beh, al contrario dell'ultima volta (storia di qualche mese fa) non riceverebbero un secco "no, grazie", ma un gioviale invito a entrare in casa per discutere della materia. Era un grande amore, potrebbe essere un doloroso addio. Zeman è stato chiamato per rifondare una squadra che con Luis Enrique aveva dimostrato di balbettare oltremodo. Ma i numeri raccontano di un progetto che non trova soluzione di continuità. E che sorprende per scelte a dir poco discutibili. De Rossi in panca, con Destro e Pjanic. In campo Tachtsidis, con Marquinho e Piris. Semplici istanti d'oblio.

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