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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2012 alle ore 19:41.

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PHNOM PENH - Fta, Free Trade Agreement, accordo di libero scambio: è il mantra del Summit dell'Asean, associazione delle nazioni del sud est asiatico, che si svolge a Phnom Penh, Cambogia. Mantra come preghiera e strumento per amplificare la coscienza. In questo caso per raggiungere l'obiettivo, fissato per il 2015, della Asean Free Trade Area, mercato di oltre 600 milioni di persone che produce il 3% del Pil globale.

Ma soprattutto, come ha detto Surin Pitsuwan, segretario generale dell'Asean, per divenire «il centro del nuovo polo della crescita globale», un megascenario che va dalla Siberia all'India, dalla Cina alla costa pacifica americana. E' per questo che il Summit è articolato in una serie d'incontri con i potenziali partner (Cina, India, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Stati Uniti): tessere una ragnatela di accordi.

E' una strategia del ragno teorizzata anche dal profeta del "Nuovo Emisfero Asiatico", il professor Kishore Mahbubani, di Singapore. «Gli accordi di libero scambio, in teoria sono accordi commerciali. In realtà sono una manovra strategica in cui due parti hanno interesse nello stabilire un rapporto più stretto o una delle due vuole rafforzare l'altra». In questo caso, come si percepisce dalle prime battute di questo Summit, i paesi dell'Asean vogliono rafforzare se stessi cercando chi li rafforzi.

Il miglior offerente, al momento, sono gli Stati Uniti. Lo dimostra il primo viaggio all'estero del presidente Barack Obama a pochi giorni dalla sua rielezione: in Thailandia, quindi in Myanmar e infine a Phnom Penh per presenziare al Summit. Quello che propone è un super FTA: la Trans-Pacific Strategic Economic Partnership che dovrebbe comprendere le nazioni asiatiche (esclusa la Cina), il Nord America e un gruppo di paesi dell'America Latina. Nello scorso mandato l'amministrazione Obama aveva iniziato, "a far perno" sull'Asia, per limitare l'influenza cinese. Una strategia appoggiata da una "diplomazia delle portaerei" che sfrutta le rivendicazioni sui Mari della Cina tra Repubblica Popolare Cinese da un lato e Vietnam, Filippine, Indonesia, Giappone e Corea dall'altro.

La Cina, invece, fa perno sull'Asean giocando la carta del "soft power", un potere morbido: investimenti e non interferenza negli affari interni, ossia nella delicata questione dei diritti umani. Diritti, a loro volta, di cui gli Stati Uniti si fanno paladini finché coloro che li violano (come la Cambogia, il Myanmar o il Vietnam) non diminuiscono la loro "dipendenza" dalla Cina.

E' su tutti questi fronti che nei prossimi giorni si svolgeranno i dibattiti del Summit e da quanto s'intuisce, sembra che le nazioni dell'Asean vogliano giocare sul confronto tra USA e Cina. La loro debolezza si sta rivelando la loro forza: il non essere un'entità politica, ma solo una somma di mercati, determina autonomia e complessità. «Impariamo dagli errori dell'Europa» ha detto il thailandese Arin Jira, del comitato di consulenza economica dell'Asean. «L'Europa era forte come Comunità Economica. Si è indebolita quando è divenuta l'Unione Europea».

In compenso, anche l'Europa sta imparando dall'Asia. «Dobbiamo considerare la crisi come un'opportunità» dice, con un concetto cinese, Stefano Poli, presidente dell'European-Asean Business Council, emanazione della European Chamber of Commerce di Singapore, che rappresenta interessi europei nei paesi dell'area. «L'opportunità di riflettere su cose che potevamo fare e non abbiamo fatto». Secondo Poli, si apre la possibilità di operare su un mercato che comincia a essere attraente e potrebbe identificare nell'Europa un partner ideale soprattutto in termini di consulenza.

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