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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2012 alle ore 06:38.

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IL CAIRO
Sono tempi duri e tempestosi per i raìs arabi. Bashar Assad secondo alcune fonti medita di abbandonare Damasco, Mohammed Morsi, che il 22 novembre aveva avocato a sé i pieni poteri, dopo aver lasciato mercoledì il palazzo presidenziale di Heliopolis uscendo dal retro ci è tornato ieri per assistere a violenti scontri tra le fazioni rivali e la polizia. Due i morti secondo al Jazeera, un Fratello musulmano e una donna, decine i feriti in una battaglia con sassaiole, molotov e qualche colpo d'arma da fuoco.
Le violenze sono esplose quando i sostenitori del presidente chiamati a raccolta dai Fratelli musulmani hanno cominciato ad abbattere le tende dell'accampamento dei contestatori. Mohammed el Baradei, uno dei leader dell'opposizione, ha ammonito che Morsi è «responsabile degli scontri e rischia di annullare la sua legittimità nel sangue»: a sua volta El Baradei è stato denunciato per sovversione insieme all'ex ministro degli Esteri Amer Moussa.
Morsi, l'aspirante raìs che pur forte del consenso elettorale sta dimostrando di non avere troppo il polso della situazione, deve avere lanciato uno sguardo dalla finestra per rendersi conto del caos in cui ha precipitato il Cairo. Soltanto un paio di settimane fa, dopo avere mediato la tregua Hamas e Israele, era l'eroe incontestabile delle piazze arabe, un interlocutore privilegiato degli Stati Uniti e dell'Occidente, un membro essenziale del triumvirato Egitto-Turchia-Qatar, che sembra in questo momento il direttorio protagonista degli eventi della regione.
Adesso Morsi è nella bufera: se spacca in due l'Egitto la sua parabola di leader della primavera araba potrebbe essere più effimera di quello dei senescenti raìs rimasti decenni al potere. Prima i poteri era soltanto due: il presidente e i militari, adesso ci sono il parlamento, i partiti, la società civile. E lo stesso Morsi è condizionato oltre che dal suo movimento, i Fratelli musulmani, da quello dei salafiti, gli islamici più radicali che hanno quasi un quarto dei consensi.
Per raffreddare la piazza sembra che Morsi stia valutando l'ipotesi di sospendere il controverso decreto approvato di recente o di eliminarne gli articoli che accrescono i suoi poteri e hanno scatenato le dure proteste delle fazioni laiche. Poi c'è il nodo della Costituzione appena varata dall'assemblea che secondo Morsi dovrebbe essere approvata con referendum popolare il 15 dicembre: uno dei problemi è che dopo avere deposto i vertici dell'apparato giudiziario ora ha davanti la contestazione dei magistrati che devono effettuare la supervisione del voto.
Ma sono soprattutto la piazza e i partiti di opposizione a mettere sotto pressione presidente. Il Fronte di salvezza nazionale che raccoglie 18 movimenti ha messo le sue condizioni: ritiro del decreto sui «super poteri» del capo dello Stato, annullamento del referendum costituzionale e formazione di una nuova Assemblea costituente che «rifletta tutte le categorie della società egiziana». «Se il presidente non risponde a queste richieste entro venerdì (oggi per chi legge, ndr) perderà la sua legittimità», recita un comunicato del Fronte di salvezza.
Morsi non intende fare retromarcia, tiene il punto, ma apre uno spiraglio al dialogo. Il referendum sulla nuova Costituzione, appena approvata dall'Assemblea popolare, che prevede la sharia, la legge islamica, come fonte principale della legislazione nazionale, si terrà come previsto il 15 dicembre, ha confermato il suo vice Mahmoud Mekki.
Mekki ha aggiunto che gli articoli contestati della Costituzione possono anche essere modificati, non prima però del referendum. «C'è comunque una sincera volontà politica di superare l'attuale periodo e rispondere alle richieste della gente», ha affermato Mekki: «La porta è aperta a coloro che si oppongono alla bozza di Costituzione. Dobbiamo trovare una via di uscita e siamo seri nella ricerca del consenso». «Non abbiamo alternativa al dialogo», ha dichiarato Mekki, il quale ha espresso di avere anche lui «riserve» sulla dichiarazione di pieni poteri emessa dal presidente. Se il suo vice la pensa in questo modo c'è da chiedersi chi siano gli ineffabili consiglieri di Morsi: ieri altri tre si sono dimessi, un segnale non confortante per il nuovo raìs d'Egitto.
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