Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2012 alle ore 06:37.

My24


In un libro giallo sarebbe il delitto perfetto. Da un lato la crisi economica che riduce i margini di profitto. Dall'altro il peso del fisco che non molla la presa, anzi arriva a prendere quasi quattro euro su dieci degli utili prodotti. La fine della storia è la realtà di questi giorni con le difficoltà incontrate dalle imprese che resistono e con gli appelli lanciati dalle associazioni di categoria alla politica, ormai proiettata verso la prossima campagna elettorale dopo gli eventi dell'ultima settimana, per alleviare la pressione tributaria.
I dati di partenza sono quelli che Infocamere ha estrapolato dai bilanci (depositati in formato elettronico Xbrl presso il Registro delle imprese) di quasi 260mila società di capitale che hanno conseguito un utile tra il 2009 e il 2011. Un campione "stabile" da cui emerge come oltre della metà delle imprese (circa 140mila) abbia pagato più tasse nell'ultimo anno. Con la conseguenza che il tax rate, vale a dire la percentuale di prelievo sugli utili ante imposte, è salita al 36,3% rispetto al 34,9% di dodici mesi prima. Una cifra che potrebbe ulteriormente salire se si considerassero anche le imprese in perdita o la variabile contributi, così come fa la Banca mondiale che ha stimato un prelievo complessivo addirittura del 68,3 per cento.
Questa è la realtà a livello nazionale. Se si scende nel dettaglio territoriale si capisce cosa significhi un aumento del tax rate. Per esempio, le imposte medie pagate da una Pmi manifatturiera (con meno di 15 dipendenti e al di sotto di due milioni di euro di fatturato) sono aumentate tra il 2009 e il 2011 di circa 7mila euro in provincia di Milano e di oltre 4.500 euro in quella di Roma: a conti fatti un 30% in più. Allargando il campo di osservazione a quanto avviene su base regionale, nella gran parte dei casi l'aliquota media è superiore a quella nazionale e addirittura in cinque casi supera il 40 per cento. E non è una coincidenza che si tratti di regioni del Centro-Sud perché sono due i fattori che spingono più in alto il tax rate: l'aliquota Irap maggiorata per i deficit sanitari e la struttura produttiva con il settore servizi maggiormente rappresentato. E ciò non fa altro che amplificare l'effetto distorsivo dell'imposta sulle attività produttive per il costo del lavoro sostenuto. Del resto, più in generale, sono proprio le imprese dei servizi (labour intensive) a far segnare un livello di tax rate più alto rispetto agli altri con punte addirittura del 45% nel settore alberghiero e della ristorazione.
Se già il peso del fisco è difficile da sostenere in un mercato globalizzato in cui anche altri Paesi europei abbassano il livello del prelievo, in piena crisi la situazione diventa davvero molto complessa. L'erosione degli utili dovuta alla pressione fiscale può pregiudicare la capacità di sopravvivenza delle imprese in una fase di difficoltà di accesso al credito o compromette la possibilità di nuovi investimenti. Né quando si parla di tasse si può sottovalutare l'impatto (e l'importanza) del sommerso in Italia. «Siamo in un sistema a due binari - commenta Matteo Caroli, ordinario di economia e gestione delle imprese internazionali alla Luiss - con una parte sana e una viziata, che però pesa sulla prima. L'imprenditoria sana sta resistendo, ha cercato di contenere gli effetti sull'occupazione e sono due anni che non pensa all'utile o al dividendo».

Shopping24

Dai nostri archivi