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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2012 alle ore 08:13.
di Mariolina Sesto
ROMA - Lo aveva annunciato due sabati fa al capo dello Stato dopo che il Pdl gli aveva voltato le spalle alla Camera. E ieri Mario Monti ha confermato la sua linea: due minuti dopo il sì alla legge di stabilità è salito al Colle da premier dimissionario. Cala così il sipario sul governo dei tecnici ed anche la legislatura è ormai giunta alle sue ultime ore. Se, infatti non ci saranno intralci, il capo dello Stato scioglierà le Camere in giornata.
L'incontro del premier con Giorgio Napolitano è stato brevissimo: una ventina di minuti. Lo stretto necessario per fissare i dettagli della road map che conduce al voto anticipato il 24 febbraio. Il presidente della Repubblica – come da prassi istituzionale – ha preso atto delle dimissioni e ha invitato il Governo a restare in carica per gli affari correnti. L'intento del capo dello Stato – reso pubblico anche nei suoi ultimi interventi – è di fare in fretta affinché il Paese non rimanga a lungo in una fase di incertezza mentre è in atto una crisi economica di prima grandezza. Ecco perché nel giro di poche ore sono state fissate consultazioni «lampo» che si svolgeranno al Colle fra le 10 e le 13 di oggi e che coinvolgeranno i presidenti delle Camere e tutti i gruppi parlamentari. Al termine Napolitano dovrebbe sciogliere le Camere per assicurare così i tempi necessari a indire le elezioni nella terza domenica di febbraio.
Adesso tutti gli occhi sono puntati su ciò che i partiti diranno al capo dello Stato. In particolare, ieri è trapelato un certo nervosismo, al limite della stizza, del Pdl nei confronti del premier dimissionario. Silvio Berlusconi ha lamentato di non avere ricevuto dal Professore neppure una «telefonata» dopo l'offerta di federare i moderati. E poi ha messo in chiaro che Monti non potrà aspirare al Quirinale nel caso in cui si presentasse alle elezioni perché gli verrebbe a mancare l'«equanimità» necessaria per rivestire quel ruolo. Domani, secondo alcuni, il partito del Cavaliere potrebbe inasprire la guerriglia nei confronti del presidente del Consiglio. Come? Esprimendo il seguente dubbio al capo dello Stato: se Monti dovesse scendere nell'agone della campagna elettorale non potrebbe mantenere la carica di premier (sebbene limitata allo svolgimento dell'ordinaria amministrazione) perché i due ruoli sarebbero incompatibili. Il Pdl sa di trovare al Colle orecchie attente a questo tipo di osservazioni. Non è un mistero infatti che Napolitano abbia mostrato un certo fastidio per l'ipotesi di candidatura di un senatore a vita quale è Monti. E l'obiezione del Pdl rischierebbe di mettere in grave imbarazzo il presidente della Repubblica.
Nell'ipotesi in cui, invece, tutti i gruppi si esprimessero per un rapido avvio della campagna elettorale, nel pomeriggio Napolitano firmerà il decreto di scioglimento delle Camere e pronuncerà un breve discorso, probabilmente intorno alle 17. E già domani potrebbe riunirsi il Consiglio dei ministri per l'indizione dei comizi elettorali.
Napolitano, su indicazione del ministro dell'Interno, ha individuato nel 24 febbraio la data più idonea per aprire le urne. Ma la "brusca" accelerazione impressa dalla decisione di Monti ha frustrato l'auspicio del Capo dello Stato per «una costruttiva conclusione della legislatura» che permettesse di «portare avanti la concreta attuazione degli indirizzi e dei provvedimenti definiti dal governo e sottoposti al Parlamento». Difatti nello sprint finale dei lavori è stato sacrificato anche quel Ddl sulle pene alternative al carcere che Napolitano aveva sollecitato.
Il Presidente ha manifestato tutto il suo «rammarico» per questa «interruzione in extremis della legislatura», nel discorso di auguri alle alte cariche dello Stato. Un discorso nel quale ha anche ammonito le forze politiche a non «bruciare» quel patrimonio di credibilità recuperata a livello internazionale e del quale si è sempre fatto garante in questi mesi. Al Quirinale resterà anche l'amarezza per la mancata riforma della legge elettorale per la quale l'inquilino del Colle si è speso con grande energia e sul quale ha lanciato invano ripetuti messaggi ai partiti mettendoli in guardia dal rischio dell'antipolitica alimentata anche da meccanismi elettorali poco rappresentativi. Ieri sera l'ultimo atto poco degno della legislatura: al Senato è mancato il numero legale sul decreto firme necessario per andare a votare.