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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2012 alle ore 10:24.

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Il leader della minoranza repubblicana al Senato Mitch McConnell e il vice presidente Joe Biden hanno compiuto durante la notte "progressi significativi" nelle trattative per evitare il cosiddetto 'fiscal cliff', riferisce Politico citando fonti informate sui colloqui.

NEW YORK – Non ce l'hanno (ancora) fatta. E dire che il compromesso al Senato per evitare il fiscal cliff sembrava già ieri a portata di mano. C'era persino una scadenza per votare: al Senato nel pomeriggio, oggi alla Camera. Invece, dopo una giornata drammatica che ha visto passi in avanti, litigi improvvisi, abbandono del tavolo negoziale, un duro scontro a distanza fra Barack Obama e il presidente della Camera John Boehner, giunti alle 6 del pomeriggio si è deciso di aggiornare il negoziato.

Repubblicani e democratici al Senato hanno pensato bene che una pausa avrebbe abbassato la tensione. Il dialogo riprenderà questa mattina a Borse già aperte, alle 11 ora americana, le cinque del pomeriggio ora italiana. A quel punto i tempi si accorciano pericolosamente, 12 ore per chiudere. Sul piano tecnico infatti, in mancanza di accordo, da domani primo gennaio scatteranno i meccanismi automatici che alzeranno tasse e taglieranno spese in modo indiscriminato con grave danno sociale e per l'economia. Ma gli esperti dicono che vi sono margini di manovra anche fino al 2 gennaio. Non ci sono più margini invece per 2 milioni di disoccupati che già da ieri non riceveranno più l'indennizzo mensile.

Come parte dell'accordo si dovevano stanziare 30 miliardi di dollari per i sussidi di disoccupazione. Anche in quel caso però, un accordo dell'ultima ora avrà effetto retroattivo.
E dire che la giornata sembrava essere partita bene. Lindsay Graham, uno dei più autorevoli senatori repubblicani dichiarava ieri mattina alla rete Fox che il compromesso era a portata di mano. Non solo, aggiungeva: «Mi tolgo il cappello davanti a Barack Obama, questa partita l'ha vinta lui». Ma ecco che Barack Obama concede a sua volta un'intervista a Meet the Press (registrata sabato quando le posizioni erano più distanti) la prima in tre anni al programma, uno dei più seguiti in America. Invece di essere magnanimo, visto che aveva la partita in mano, Obama attacca i repubblicani e Bohener in particolare accusandoli di doppo gioco e irraginevolezza. Bohener risponde con un comunicato: «Questo presidente non è un leader, divide invece di unire... Per fortuna che al Senato ci sono qualità di leadership diverse».

A parte i litigi fra primedonne, cominciano a sorgere problemi tecnici. Non ci si metteva d'accordo sul livello di reddito dal quale far partire i rialzi di aliquote e sulla tassa di successione. Poi la crisi più grave per una differenza su come calcolare l'inflazione da applicare ai tagli di spesa ( e alle tasse). Un esempio, con l'indicizzazione all'inflazione le entrate che aveva proposto Obama per 1.200 miliardi di dollari, salivano a 1.300 miliardi di dollari. I repubblicani chiedevano a quel punto che anche le spese fossero indicizzate all'inflazione ( a complicare le cose è cambiato il metodo per calcolare le variazioni dei prezzi al consumo). Su questo si è rotto. Nel tardo pomeriggio i negoziati sono stati sospesi. Tutto sembrava perduto quando i repubblicani hanno ceduto. Sapevano che in mancanza di accordo Obama avrebbe presentato un suo progetto per il voto già oggi. I repubblicani lo avrebbero bocciato ma così facendo sarebbero rimasti con il cerino in mano: avrebbero di fatto introdotto loro gli aumenti fiscali per 100 milioni di americani. Indiscrezioni dicono che le distanze si sono di nuovo accorciate e che oggi si potrebbe davvero concludere. Che poi il voto alla Camera avvenga un giorno dopo non cambierà nulla.

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