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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2013 alle ore 08:16.

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BEIRUT. «La presenza di Unifil al Sud è nell'interesse del Libano. Per noi è fondamentale», riflette Ammar al-Musawi, in un posto sicuro della grande periferia sciita della città. È utile saperlo, con 12mila caschi blu al confine con Israele, comandati da un generale italiano. Di quella forza, con più di mille soldati, il contingente italiano è il più numeroso. «La cosa più importante è il rapporto che si è creato fra loro e la nostra popolazione locale», in gran parte sciita e sostenitrice di Hezbollah.

Ammar al-Mussawi è un sayyed come il leader supremo del movimento islamico sciita Hassan Nasrallah: la gente lo usa come titolo d'onore verso chi è riconosciuto discendente del Profeta. Di Hezbollah Mussawi è il numero tre, responsabile delle relazioni internazionali, cioè ministro degli Esteri.

Tuttavia voi sostenete la Siria di Bashar Assad e il governo italiano è vicino alle opposizioni.
Io divido l'Europa in due gruppi: i Paesi che fanno tutto ciò che vuole l'America e quelli indipendenti. Mi sorprende la posizione italiana, una volta partner indipendente, una volta accodato. Vorremmo vedere dall'Europa una politica più autonoma.

Il regime di Assad incomincia a mostrare serie difficoltà. La forza di Hezbollah è saper guardare lontano: avete un piano "B" per la Siria?
È nostro diritto e dovere pensare a piani alternativi ma non nel senso che a Damasco stiamo perdendo un alleato. Alcuni pensano che presto la Siria diventerà ostile a Hezbollah: è uno scenario impreciso. Senza dubbio noi siamo preoccupati ma il problema non riguarda solo noi.

Cosa ci sarà dopo Bashar?
Potrebbe non esserci uno Stato unitario ma una serie di emirati al confine turco e qualcuno proclamerà il suo Stato islamico. Se cade il regime avremo questo scenario. La nostra vera preoccupazione è la tenuta dello Stato unitario siriano. Secondo le nostre informazioni un terzo dei combattenti delle opposizioni sono estremisti religiosi e due terzi delle armi sono sotto il loro controllo. Incapace di fare direttamente una guerra alla Siria, l'Occidente la fa per procura.

Quale è il suo scenario?
Quel terrorismo che aiutate si rivolgerà verso altre direzioni. Come in Afghanistan. Ma la Siria non è a Tora Bora, è sulle rive del Mediterraneo vicino all'Europa.

In un'intervista al «Sole-24 Ore», il generale Paolo Serra, il comandante dell'Unifil, ha sostenuto che Hezbollah collabora per tenere il Sud del Libano lontano da una contaminazione siriana.
Sicuramente avrà ammesso che Hezbollah sta collaborando: noi siamo trasparenti. Ci sono occidentali che non vogliono capirci, che confondono terrorismo, violenza e resistenza. Il nostro è un movimento di resistenza. Nel Nord, a Tripoli, la situazione è molto diversa. Oggi in Libano il fenomeno estremista è in crescita: sia i salafiti locali che coloro arrivati da fuori. Ancora non ci preoccupano ma piano piano aumentano. Chi li vuole usare contro di noi commette un gravissimo errore: rischiano di non poterli controllare.

Se il regime di Damasco usasse le armi chimiche e l'Occidente attaccasse, cosa farebbe Hezbollah?
Escludo che possa succedere. In Occidente i militari sono più moderati dei politici, sanno cosa è una guerra. Ma se accadesse, tutti dovrebbero rifare i loro calcoli. Un attacco alla Siria sarebbe una minaccia per tutta l'area della quale anche noi facciamo parte. Diventerebbe una guerra regionale.

E cosa farebbe Hezbollah se Israele attaccasse i siti nucleari iraniani?
È solo un'ipotesi, è difficile rispondere ora. Sarebbe un episodio molto importante, dovremmo studiare i riflessi alla luce dei quali decideremo cosa fare. So che molti vorrebbero conoscere le nostre mosse. Noi preferiamo non soddisfare questa curiosità.

È quasi certo che alle elezioni di questo mese in Israele Bibi Netanyahu rivincerà. Avrà più forza per fermare la bomba iraniana.
Israele ci conosce più di chiunque altro e sa che l'Iran è un obiettivo troppo complicato. Minacciando l'intervento, Netanyahu ricatta l'Occidente ma è troppo debole per bombardare da solo: dopo la sconfitta nell'ultima guerra di Gaza, a novembre, un attacco all'Iran è ancora più remoto. Il vero obiettivo d'Israele è evitare un compromesso politico con i palestinesi.

Ma lei pensa che l'Iran abbia diritto ad avere l'atomica?
L'energia per usi civili si, è un suo diritto. Ma l'arma atomica non la vuole: anche l'ayatollah Khamenei dice che la bomba è proibita dall'Islam. Ma supponiamo per un istante che l'Iran decida di diventare una potenza militare nucleare: è un'ipotesi, sappiamo che non lo vuole. Ne avrebbe il diritto? Secondo me sì, se guardiamo alla geopolitica dell'Iran, circondato da potenze nucleari: il Pakistan, l'India, la Russia, Israele. Anche la Turchia possiede le armi della Nato. Nella regione solo l'Iran è senza un ombrello atomico.

Molto più della Siria, l'Iran è indiscutibilmente l'alleato assoluto di Hezbollah. Come reagireste se Israele attaccasse?
Come gli Stati Uniti pensano che una minaccia a Israele sia una minaccia alla loro sicurezza nazionale, così anche Hezbollah ha diritto di pensare lo stesso per l'Iran. Riconosciuto che ognuno ha i suoi interessi e le sue alleanze, se l'Iran venisse attaccato noi dovremmo difendere gli interessi del Libano.

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