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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2013 alle ore 18:02.

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«Quello che si è verificato stamattina non è niente di nuovo: è la routine che denunciamo da anni». Parla con amarezza Massimo Magnanti, medico del pronto soccorso dell'ospedale San Giovanni di Roma e segretario del Sindacato professionisti emergenza sanitaria (Spes).

Ci sta dicendo che ogni giorno a Roma ci sono 23 ambulanze impossibilitate a prestare soccorso ai cittadini?
Oggi forse c'è stato un picco di mezzi bloccati che ha portato all'esasperazione. Ma non è assolutamente la prima volta che arrivano comunicazioni di questo tipo dai vertici dell'Ares 118. Attenzione all'ipocrisia.

Con chi ce l'ha?
Chi ha le responsabilità manageriali non ha mai trovato soluzioni a una situazione che si trascina da anni. Già nel 2009 avevamo organizzato un "barella day" per protesta. Un anno fa, dopo l'emergenza del San Camillo, si parlava delle stesse cose. Abbiamo calcolato che ogni giorno nei pronto soccorso del Lazio restano in barella in attesa di ricovero tra i 200 e i 400 malati, la stragrande maggioranza dei quali a Roma e provincia. Il livello massimo è stato raggiunto l'anno scorso in un ospedale romano con 81 malati in barella.

Vi sentite in trincea?
Gli organici sono sotto pressione: nei pronto soccorso siamo pochi e dobbiamo fronteggiare, oltre alle emergenze, anche l'assistenza ai pazienti che dovrebbero essere nei reparti. Noi combattiamo ogni giorno e lo stesso fanno i colleghi dell'emergenza territoriale, ma nessuno ci ascolta. E non succede soltanto a Roma. Purtroppo è un trend in crescita in tutta Italia, dalla Campania alla Lombardia.

Perché?
Perché tagliare i posti letto subito, senza aver costruito nel frattempo solidi presìdi sul territorio porta a questo. Pensate che i tagli facciano risparmiare? Ecco le conseguenze.

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