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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2013 alle ore 18:29.

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Giusto perché si ricordi chi guida la marcia delle Primavere arabe. Senza che nessuno ne facesse richiesta, il Qatar ha deciso di dare all'Egitto un aiuto finanziario da 2miliardi e mezzo di dollari, necessari per fermare l'emorragia della moneta locale, ridare fiato alle riserve valutarie e tamponare una montante crisi fiscale.

Grazie a questo aiuto d'emergenza, il fortunato Mohamed Morsi, presidente egiziano della Fratellanza islamica, potrà affrontare senza affanno le imminenti scadenze economiche e politiche che attendono l'Egitto nei prossimi due mesi, passato l'ostacolo del referendum costituzionale: le elezioni parlamentari, le dolorose riforme sociali, la stabilizzazione finanziaria.

Il prestito, a tempo indeterminato e tassi d'interesse al limite dell'inesistente, è stato deciso da Sheik Hamad bin Jassem al-Thani, primo ministro, ministro degli Esteri, presidente del fondo sovrano, cugino e uomo di assoluta fiducia dell'emiro Hamad bin Khalifa al-Thani. L'aiuto economico ha un valore principalmente politico. E' parte del disegno regionale del Qatar: sostenere i partiti islamisti sunniti che dalle rivolte arabe stanno emergendo come forze di potere; e promuovere, anche con l'aiuto economico, la loro evoluzione in forze di governo moderate.

L'aiuto da 2,5 miliardi di dollari all'Egitto, deciso come supporto finanziario, si somma ad altri 2 miliardi e mezzo da tempo promessi dal Qatar per ridare fiato all'industria egiziana. In totale sono cinque miliardi, più dei 4,8 offerti l'estate scorsa a Mohamed Morsi dal Fondo Monetario Internazionale. Il Fmi è un organismo multilaterale, non rappresenta le casse di un solo Paese ma quelle di tanti creditori: per concedere prestiti agevolati chiede in cambio riforme economiche e sociali di solito onerose sul piano politico.

Un mese fa Morsi aveva già fissato e reso noto il piano di riforme necessario per avere il prestito del Fondo: aumento di vecchie tasse, creazione di nuove, fine di una serie di sussidi fondamentali come all'energia e al grano. Ma c'era un referendum costituzionale da far votare agli egiziani: per questo il presidente aveva congelato le riforme e rinviato di un paio di mesi il prestito dell'Fmi. Senza quei 4,8 miliardi, tuttavia, la crisi finanziaria egiziana si è fatalmente aggravata. Domenica scorsa il pound ha perso quasi il 5% di un valore già pesantemente deprezzato dall'inizio della rivoluzione di piazza Tahrir.

Si doveva riaprire la trattativa con il Fondo monetario ma nella sua transizione senza fine, l'Egitto è in perenne campagna elettorale: la legge impone che, dopo il referendum, entro marzo il Paese vada alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Si è così creata una situazione da "comma 22": senza il prestito internazionale, l'economia egiziana fallisce prima di arrivare alle elezioni. Ma per avere quel prestito i Fratelli musulmani al governo dovrebbero imporre riforme sociali che farebbero loro perdere le elezioni. A far uscire dal vicolo cieco Mohammed Morsi, la fratellanza e l'Egitto, è stato l'emiro del Qatar. Il suo prestito darà respiro a Morsi: in sostanza, gli permetterà di separare temporalmente le elezioni dalle riforme impopolari.

Con calma, l'Egitto concluderà la trattativa appena riavviata con il Fmi: ha comunque bisogno anche di quel prestito e di avere buoni rapporti con il Fondo. Ma la munificenza del Qatar e del suo aiuto proposto e deciso in dodici ore, dimostra che gli organismi multilaterali creati dall'Occidente a difesa anche dei suoi interessi, hanno sempre meno presa.

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