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Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2013 alle ore 06:39.

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PARIGI. Dal nostro corrispondente
Chi si aspettava un'azione militare lampo - qualche bombardamento e tutti a casa - è destinato a ricredersi. L'intervento francese in Mali durerà a lungo. E non sarà facile.
«I gruppi terroristi - ha detto ieri il ministro della Difesa Jean-Yves Le Drian - sono come avevamo previsto: pesantemente armati, molto determinati e ben organizzati». «Dispongono di sistemi d'armamento terra-aria - aggiungono in coro gli esperti - con i loro 4x4 sono in grado di muoversi molto rapidamente e hanno ormai acquisito forti capacità tattiche e di informazione».
Le notizie che arrivano dal Mali confermano un quadro forse più complesso rispetto alle previsioni, nonostante le dichiarazioni ufficiali di Parigi. Dopo aver bloccato l'avanzata delle forze islamiche verso Sud, verso Bamako, e consentito la riconquista di Konna, villaggio collocato strategicamente al centro del Paese, gli aerei francesi (i Mirage che arrivano da N'Djamena, in Ciad, e i Rafale decollati da Saint-Dizier) hanno continuato a martellare le posizioni dei ribelli nel Nord del Mali, in particolare depositi e campi d'addestramento - spesso ormai abbandonati - nella zona di Duenza, Gao e Timbuktu. Ma gli uomini del Mujao (il Movimento per l'unicità della jihad nell'Africa dell'Ovest, alleati di Aqmi, al-Qaeda del Maghreb, e di Ansar Eddine) hanno ripreso alle forze armate regolari la cittadina di Diabaly, al confine con la Mauritania, ad appena 400 chilometri dalla capitale.
È evidente che gli aerei non bastano a fronteggiare, e ancor meno a respingere, un nemico così insidioso. Il programma francese prevede quindi l'ingresso in scena, al più presto, di un importante contingente di truppe a terra, oltre ai militari già presenti a Bamako (con l'obiettivo prioritario di proteggere la comunità francese) e alle forze speciali già operative al fronte. Si dovrebbe passare dagli attuali 550 uomini ad almeno 2.500.
Nella speranza che nel frattempo prenda forma la forza africana immaginata dalle risoluzioni dell'Onu (3.300 uomini). Se infatti la Francia può contare sul sostegno politico della comunità internazionale (compresa l'Italia, preavvisata dell'intervento e il cui ministro Giulio Terzi ha avuto un colloquio telefonico con il collega francese Laurent Fabius) e in alcuni casi logistico (per esempio da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada), la guerra la sta combattendo da sola. E questa situazione non può durare a lungo, anche per ragioni diplomatiche e di immagine.
L'Algeria, che ha chiuso la frontiera con il Mali, si è di fatto schierata con Parigi, consentendo il sorvolo ai suoi caccia, ma stampa e opinione pubblica rumoreggiano. In molti Paesi arabi si riaffacciano le accuse all'Occidente e al "neocolonialismo" francese. Di questo si parlerà in un vertice straordinario dei ministri degli Esteri europei che si svolgerà nei prossimi giorni, mentre torna a riunirsi il Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Ma è soprattutto urgente che si muova l'Africa. Che arrivino i 3mila uomini promessi da Burkina Faso, Nigeria, Niger, Senegal e Bénin. E che l'operazione passi in qualche modo di mano, lasciando ai francesi compiti di supporto e addestramento.

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