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Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2013 alle ore 15:12.

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Nadia Macrì (LaPresse)Nadia Macrì (LaPresse)

Spunta anche una escort tra le carte dell'inchiesta Public Money. Si tratta di Nadia Macrì, giovane avvenente signora di Reggio Emilia, già emersa alle cronache a margine del caso D'Addario. È lei, Nadia Macrì, a favorire un contatto diretto, quasi intimo, tra Pietro Vignali (allora sindaco di Parma) e Silvio Berlusconi (all'epoca presidente del consiglio).

I due già si conoscevano, ma la loro frequentazione era distaccata, nonostante i buoni uffici di Gianni Letta referente politico di Vignali. È grazie alla Macrì che il legame tra Vignali e Berlusconi si rinsalda e diventa stretto. «Emerge dalle intercettazioni» spiega il comandante della Guardia di Finanza, Guido Mario Geremia che definisce «veicolo» la Macrì. Ma perché Vignali cerca insistentemente Berlusconi e, in compagnia di Luigi Giuseppe Villani (tuttora plenipotenziario del Pdl locale, anche lui agli arresti domiciliari) va ad incontrare il presidente del consiglio ad Arcore, trovando anche l'avvocato, e deputato pdl, Nicolò Ghedini? Per portargli un dossier sulla procura della repubblica di Parma, nel tentativo di «inquinare l'indagine», e non a caso arrivano interrogazioni parlamentari del senatore Filippo Berselli, coordinatore regionale del Pdl, («ha fatto un lavoro durissimo» confida Villani, intercettato) per chiedere ispezioni alla procura per delegittimare l'operato del procuratore Gerardo La Guardia e dei suoi pm, con un tentativo di coinvolgere direttamente anche Angelino Alfano (all'epoca Ministro della Giustizia).

«Ci sono intercettazioni interessanti - dice La Guardia - sugli attacchi alla Pm Dal Monte, per la quale viene sollecitata la pubblicazioni di articoli sul giornale Libero, per la vicenda del marito» (comandante dei vigili urbani di Brescia, fece domanda per il concorso a Parma dopo l'arresto del comandante della polizia municipale di Parma, Giovanni Maria Jacobazzi, ndr).

Un'altra persona di notorietà nazionale, che emerge nell'inchiesta, ma non è indagata, è il giornalista Klaus Davi, ingaggiato da Vignali per curare la sua immagine a livello italiano. Davi procurò interviste sui quotidiani e passaggi in televisione e fu ricompensato per una cifra di 35mila euro, in parte pagata da Sws (Student work service), la società fulcro che gestiva il flusso di denaro da Comune e partecipate per «reggere il sistema di potere», gestita da tre amici di Vignali, già arrestati nel giugno 2011 a proposito dei quali La Guardia riporta un'intercettazione ambientale all'interno di Sws in cui Ernesto Balisciano (tesoriere di Parma Civica, il movimento di Vignali) «ricorda ad Andreaus e Mori (presidente e vice di Sws) che la società appartiene al "papa", intendendo Vignali».

L'indagine della Guardia di Finanza è durata un anno, dagli arresti dell'operazione Green Money 2 nel giugno 2011 al luglio 2012. In quel periodo si chiudono le intercettazioni, si raccolgono le confessioni degli arrestati, in particolare degli ex dirigenti comunali Emanuele Moruzzi e Carlo Iacovini, e a fine luglio il procuratore La Guardia firma la richiesta di arresto con custodia cautelare, per corruzione e peculato per quattro persone: Vignali (contestati reati per 1,969 milioni di euro), Costa (1,319 milioni), Buzzi (163mila) e Villani (98.500). Il gip ha autorizzato gli arresti, ai domiciliari, solo lunedì scorso. Come mai tanto tempo intercorso? A quanto pare il gip ha dovuto esaminare "un armadio di documenti", secondo un'indiscrezione, e data la rilevanza dei nomi avrebbe vagliato tutti i riscontri con certosina pazienza.

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