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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2013 alle ore 14:46.

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La cartella clinica non indicava alcun problema per la gestante e per il bimbo: si poteva procedere col parto naturale. Ma la scheda di dimissione con la scusa della «posizione anomala del feto» indicava la necessità del parto col bisturi, il cesareo. E così, da un costo per il servizio pubblico di 1.318 euro l'ospedale o la clinica privata accreditata sono riusciti a incassare una tariffa quasi doppia dal Ssn: 2.457 euro e 72 cent.

Il 43% dei primi parti sarebbe ingiustificato
E così ora il ministero della Salute denuncia il caso delle (possibili) truffe dei primi parti cesarei. Che in Italia sono da record quasi mondiale: ben il 29,31% dei 482mila parti totali. Con l'aggravante che il 43% dei primi parti cesarei sarebbe ingiustificato. Denaro pubblico sprecato. Tra 80-85 milioni l'anno, calcola il ministro Renato Balduzzi. Che denuncia: «Sono dati molto preoccuopanti e ci vuole un intervento ulteriore. E' un forte campanello d'allarme perché i dati ci dicono che ci sono comportamenti opportunistici sui quali bisogna intervenire». Sicilia (78%), Marche (74%), Puglia (56%), Umbria (55%) e Campania (46%) le Regioni in fondo alla classifica dei casi sospetti.

Verificate a campione 3.273 cartelle cliniche
A scoperchiare il vaso di Pandora è stato oggi il ministero della Salute, che su indicazione dell'Agenas (Agenzia per i servizi sanitari) ha incaricato i Nas di acquisire e verificare a campione 3.273 cartelle cliniche di 78 strutture pubbliche e private per accertare la corrispondenza tra schede di dimissione (Sdo) e cartelle cliniche.

L'Agenas aveva notato l'anomalia
I «problemi di validità» erano stati sollevati dall'Agenas che ha notato come la «posizione anomala del feto», caso fortemente associato al cesareo, risultasse sopra il 20 e addirittura il 50% tra tutti i primi parti cesarei. Contro una frequenza media nazionale dell'8%. «Valori incompatibili» che «hanno fatto sorgere il sospetto di una utilizzazione opportunistica della diagnosi, non basate su reali condizioni cliniche», scrive il ministero nel comunicato diffuso oggi in conferenza stampa. Un imbroglio bell'e buono, insomma.

Primo risultato inquietante
Le indagini finora hanno riguardato 1.117 cartelle (il 34% del campione) di 32 strutture in 19 Regioni. Ne mancano ancora molte, comprese tutte quelle di Bolzano «che non sono state ancora esaminate perché scritte in lingua tedesca», ammette l'ignoranza anche il ministero. Il risultato è in ogni caso già adesso inquietante. Il 43% dei casi esaminati sono fortemente dubbi: sdo e cartelle cliniche non coincidono affatto. Una situazione che coinvolge, con numeri diversi, ben 12 Regioni. Escluse Veneto, Liguria, Trento con tutte le cartelle a posto) e Valle d'Aosta e Friuli (3 errori). Per 4 Regioni, poi, risulta addirittura una «sorprendente assenza di documentazione», è la stoccata del ministero: Sicilia (72 casi), Calabria (23), Lazio (24), Lombardia (31).

Dalle lesioni personali alla truffa i reati ipotizzabili
E ora, c'è da giurarlo, gli eventi faranno il loro corso. Anche davanti alla magistratura. I reati ipotizzabili, secondi i Nas, vanno dalle lesioni personali alla truffa. Lo mette in chiaro Cosimo Piccinino, comandante generale dei Nas: «Una volta esaminate le cartelle cliniche prelevate per l'indagine, saranno trasmesse alle singole Procure perché si potrebbero ipotizzare reati che vanno dalle lesioni personali gravi alla truffa a carico del Ssn, fino al falso in atto pubblico». L'aspetto giudiziario, secondo Balduzzi, è l'ultima ratio. Ma mette in guardia: «In presenza di dati che creano ragionevoli dubbi sulla legalità dei comportamenti, c'è il dovere di perseguire la strada giudiziaria». Anche perché, ha aggiunto il ministro, in varie situazioni si è verificato che le cartelle cliniche «dicessero cose diverse rispetto a quanto documentato dalle indagini ecografiche o radiologiche, o che addirittura mancasse nella cartella clinica la documentazione stessa volta a supportare la diagnosi».

Tra 80 e 85 milioni gettati al vento
Non a caso il ministero della Salute mette in rilievo la posta finanziaria in gioco: quei 1.139 euro in più per ciascun falso (o inutile) «cesareo podalico», potenzialmente sottratti alle casse pubbliche per interventi che potevano costare la metà. Tra 80 e 85 milioni gettati al vento, e forse non solo al vento. Senza contare che il cesareo è un pericolo per la salute della mamma. E che dopo il primo cesareo, tutti gli altri parti per la gestante avvengono col bisturi. Pericoli per la salute e sprechi di denaro che si moltiplicano..

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