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Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2013 alle ore 13:41.

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Giorgio Napolitano in visita al carcere di San Vittore è non solo un segnale di attenzione del Presidente della Repubblica per l'umanità cancellata "in" e "dal" carcere ma è anche la testimonianza dell'impegno che l'Italia deve assumere per risolvere l'insostenibile condizione delle patrie galere, fabbriche di criminalità e non di libertà, meno che mai di sicurezza collettiva. L'onore di una nazione si misura dalla capacità che ha di riconoscersi nei suoi valori fondanti, e di colmare lo scarto che spesso si registra tra quei valori e il cosiddetto comune sentire. Questo è il problema del degrado politico, istituzionale, etico e culturale dell'Italia e l'approccio alla questione carceraria è una cartina di tornasole di questo scarto, che va colmato con un impegno nuovo, a tutti i livelli.

Un approccio concreto
Non è dunque solo questione di misure legislative più o meno efficaci. Certo, è essenziale abbandonare il vezzo declamatorio (soprattutto in campagna elettorale) e adottare un approccio concreto, sistemico, strutturale, in cui il carcere è soltanto l'ultimo anello di una catena che attraversa la politica penale di questo Paese. Ma è ancora più essenziale che questa battaglia cammini sui piedi di principi comuni, saldi, capaci di resistere a facili tentazioni demagogiche e populiste. Senza questa consapevolezza, le leggi sono infatti anime morte, destinate a restare sulla carta, come peraltro è accaduto proprio con il carcere negli ultimi quarant'anni. Quindi è questa la sfida a cui sono chiamati governo e Parlamento. Senza farsi scudo dell'Europa o delle compatibilità economiche, che pure pesano. Il rispetto dei diritti fondamentali delle persone ha un costo, questo dev'eesere chiaro. Ma ha anche un ritorno, e non solo in termini economici.

Il punto di partenza è la recidiva
Il sovraffollamento delle carceri non è un problema solo italiano. Altri Paesi europei ne sono afflitti ma hanno provato a imboccare strade diverse, con una determinazione decisamente maggiore della nostra. In Italia, il 75% dei condannati va in carcere, in Europa il rapporto è inverso, poiché la via maestra è quella delle misure alternative. Che non hanno solo una funzione deflattiva, ma rispondono a una politica penale che punta, sì, a punire, ma anche a punire con efficacia. E allora il punto di partenza non può che essere, ancora una volta, quello che in Italia viene paradossalmente ignorato: la recidiva di chi sconta interamente in carcere la pena, chiuso in cella e all'ozio, è del 70%, mentre scende al 30% per chi sconta la pena con misure alternative nell'ambito di un percorso che ha come sbocco il reinserimento sociale.

La chance della depenalizzazione
Un percorso, appunto. Il carcere non solo dev'essere l'extrema ratio e non la medicina da somministrare per ogni illecito. Avere una popolazione di quasi 67mila detenuti (di cui il 39% in custodia cautelare) è aberrante e controproducente. Perché il carcere è criminogeno e patogeno. E di carcere si muore (già 6 i suicidi del 2013). Ci sono altre sanzioni, non detentive, ben più efficaci del carcere, che va riservato ai casi estremi. Quindi il primo passo è depenalizzare, costruire un sistema penale con un ventaglio di pene più ampio e variegato, limitare i casi di custodia cautelare obbligatoria, spezzare il perverso meccanismo della ex Cirielli che manda in carcere sempre e comunque un recidivo indipendentemente dalla sua pericolosità e dal tipo di reato commesso, "liberare" il carcere dai suoi "occupanti abusivi" come gli immigrati e i tossicodipendenti.

Un servizio che funzioni
Ma il carcere dev'essere anche un servizio che funzioni. La strada è tracciata dalla Costituzione. La pena detentiva è solo la perdita della libertà, il muro di cinta. Tutto il resto non è previsto, anzi. Il tempo dell'esecuzione della pena dev'essere speso bene: lavoro, attività ricreative, affetti, studio. E la prospettiva di rientrare gradualmente nel mondo dei liberi grazie alle misure alternative. Anche sul piano strutturale, non basta costruire nuove carceri come se fossero solo contenitori di corpi, ma costruire tenendo conto della funzione rieducativa. Distinguendo a seconda degli "ospiti", che siano imputati o condannati definitivi, della loro pericolosità e del reato commesso.
È un cammino lungo e difficile, ma va imboccato senza scorciatoie (amnistie, indulti) né rattoppi. E soprattutto senza marce indietro dettate dalle presunte emergenze sulla sicurezza. Questo è il compito che attende al varco la politica. Questo è ciò che Napolitano, con la sua presenza a San Vittore, ha voluto ricordare.

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