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Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2013 alle ore 11:44.

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Porto di Ancona (Ansa)Porto di Ancona (Ansa)

La "globalizzazione in nero" viaggia su nave. Sulle rotte marine, infatti, viaggiano illecitamente rifiuti, merci contraffatte, prodotti agroalimentari e specie protette e l'Italia è sempre più un crocevia internazionale di cui fare a meno è impossibile.

«Come un moto perpetuo – si legge nel Rapporto "I mercati illegali - Numeri, storie e scenari della globalizzazione in nero" presentato oggi a Roma da Legambiente e Polieco - le rotte che muovono cose e persone, da un lembo all'altro del pianeta, non smettono mai di rincorrersi a vicenda. Rotte legali e illegali, mischiate e sovrapposte tra loro, alle volte due facce della stessa medaglia, che crescono alla velocità della luce: è questo uno dei tratti più tipici della "globalizzazione in nero». Il Rapporto ha censito negli ultimi due anni 163 inchieste internazionali che hanno interessato l'Italia: più di un'inchiesta ogni 4 giorni, per un totale di 297 persone denunciate e arrestate, 35 aziende sequestrate e un valore complessivo finito nelle mani degli inquirenti che supera i 560 milioni.

La nascita di mercati sempre più estesi e meno controllati rappresenta un incentivo ai commerci leciti, ma allo stesso tempo offre una micidiale occasione di arricchimento alle mafie internazionali per movimentare illegalmente, anche su distanze enormi, ogni genere di oggetto o specie vivente. Per i trafficanti, insomma, nessun posto è oramai lontano. Traffici che si sono mossi prevalentemente sulle cosiddette autostrade del mare, soprattutto per i grossi carichi e le lunghe distanze. È qui, infatti, che secondo la Commissione europea si muove l'81% dei traffici mondiali. Mentre per i carichi più piccoli e di alto valore aggiunto, e le tratte più brevi, rimangono allettanti anche i movimenti su strada o via aerea: anche una semplice valigia o uno zaino può servire per accumulare profitti illeciti.

Nello specifico le inchieste che hanno riguardato i porti italiani sono state 122, quelle che hanno coinvolto gli aeroporti 19, mentre le altre indagini (22) si sono rivolte contro flussi illegali che avevano quale base operativa singoli capannoni, dove occultare soprattutto merci e pattume da spedire in un secondo momento da qualche parte nel mondo. Delle 163 inchieste censite, quelle che hanno interessato merci contraffatte e specie protette rappresentano il 68% del totale, i traffici illeciti di rifiuti si attestano al 23% e le frodi agroalimentari al 9%.

Ancona al top
Il porto italiano in cui si registra il maggior numero di inchieste è quello di Ancona, seguito da Bari, Civitavecchia, Venezia, Napoli, Taranto, Gioia Tauro (Reggio Calabria), La Spezia e Salerno. Complessivamente, i porti italiani figurano per 72 volte come punti di destinazione dei traffici illegali e per 50 volte come aree di partenza. Per quanto riguarda, invece, la distribuzione geografica dei porti, l'intensificazione delle rotte europee est-ovest ha spinto i trafficanti sempre di più verso quelli adriatici di Ancona, Bari e Taranto, che risultano essere la naturale porta di ingresso per i traffici illegali provenienti dall'est e nord Europa, dall'Africa e Medio Oriente, soprattutto di merci contraffatte e specie animali protette.

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