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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2013 alle ore 06:35.

Proprio l'innovazione, in un Paese come l'Italia a bassissima intensità di Ricerca e Sviluppo formalizzata, costituisce uno dei tasselli essenziali nel mosaico Finmeccanica che, a sua volta, rappresenta una tessera imprescindibile nel mosaico italiano. Secondo la riclassificazione di R&S Mediobanca, le spese in Ricerca e Sviluppo, nel 2011, sono ammontate all'11,7% del fatturato netto, attestandosi dunque a 2,02 miliardi di euro. Nel 2010, sono state pari a 2,03 miliardi di euro (il 10,9% dei ricavi), nel 2009 a 1,98 miliardi di euro (il 10,9%), nel 2008 a 1,8 miliardi di euro (il 12%) e nel 2007 a 1,84 miliardi di euro (il 13,7%). Alla fine, negli ultimi cinque anni Finmeccanica ha investito, in Ricerca e Sviluppo, 9,67 miliardi di euro.
Secondo una elaborazione del Ceris-Cnr, se la Ricerca e Sviluppo italiana fatta dalle imprese è pari a 10,5 miliardi di euro all'anno, ecco che l'innovazione formalizzata di tutto il gruppo Finmeccanica vale un quinto di quella fatta da tutto il sistema industriale italiano.
Questa capacità di concentrare ingenti risorse sulll'innovazione tecno-industriale va inquadrata in un trend storico di crescente (e inesorabile) riduzione del peso della grande impresa negli equilibri economici nazionali: nel 1991 in Italia, secondo l'ufficio studi di Confindustria, le aziende con oltre mille addetti erano 241 e avevano in tutto 778mila occupati; nel 2010, stando invece all'Istat, sono scese a 179 con 442mila occupati. Dunque, se la prospettiva di medio e lungo periodo è quello di una articolazione produttiva sempre meno centrata sulle stutture industriali robuste e organizzate e sempre più basata sulla piccola impresa e sui meccanismi dell'economia fluida e informale, ecco che assume una importanza relativa ancora maggiore la dinamica della grande impresa italiana. Anche perché il problema è che, nel complesso e paradossale gioco che vede in questi settori high tech fondersi la trasnazionalità del business con la verticalizzazione delle organizzazioni industriali, le cose buone e le cose cattive che capitano all'interno dei big player tendono a ripercuotersi sull'intero sistema nazionale.
Finmeccanica, soprattutto nei sistemi elettronici e in alcuni segmenti dei materiali, è prossima alla frontiera tecnologica: la sottile striscia condivisa da scienza e industria dove i laboratori concepiscono oggi quanto verrà realizzato domani nelle fabbriche, per diventare dopo domani patrimonio comune nella vita quotidiana di tutti noi. Se le cose vanno bene, Finmeccanica trasferisce alla catena della fornitura competenza e risorse che, poi, come nella fluido-dinamica e nei sistemi aperti, tendono a propagarsi nel resto del tessuto produttivo irrorandone tutti i gangli. Se, invece, le cose vanno male, questo flusso si interrompe.
Nei prossimi mesi gli occhi di tutti gli osservatori sono puntati sulla catena della fornitura che Finmeccanica ha costruito (e razionalizzato) negli ultimi anni. Secondo uno studio degli economisti della Scuola Superiore Sant'Anna, pubblicato fra gli occasional paper del centro studi di Finmeccanica, i fornitori italiani del gruppo sono poco più di 5.700. Il 35% di questi, cioè circa 2mila, si possono considerare technology-based. Imprese a buon contenuto tecnologico, che assolvono compiti precisi nella fisiologia industriale di Finmeccanica.
Questa filiera, per la maggior parte, è al servizio soprattutto di quest'ultima. In altri settori, come l'automotive, le piattaforme produttive nazionali tendono a integrarsi in un unicum pan-europeo. In questo comparto, no. I fornitori italiani lavorano in particolare con il big player italiano. I francesi con la francese Thales. I tedeschi con la holding europea, a partecipazione tedesca, Eads.
Dunque, se Finmeccanica ha il raffreddore, al sistema industriale italiano può venire la febbre. E, questa volta, Finmeccanica non ha solo il raffreddore.
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L'equilibrio Italia-mondo
Gli addetti complessivi (dato a fine 2011) sono 70.474. Il fatturato per dipendente è pari a 242mila euro, il costo del lavoro medio è di 65mila euro e il valore aggiunto netto espresso da ciascun lavoratore è di 76mila euro. In Italia, nei suoi 75 stabilimenti e siti, il gruppo Finmeccanica ha poco più di 40mila addetti. ADDETTI IN ITALIA 40.000
L'INNOVAZIONE L'equilibrio azienda-Paese
Negli ultimi cinque anni Finmeccanica ha investito, in Ricerca e Sviluppo, 9,67 miliardi di euro. Se la Ricerca e Sviluppo italiana fatta dalle imprese è pari a 10,5 miliardi di euro all'anno, ecco che l'innovazione formalizzata di tutto il gruppo Finmeccanica vale un quinto di quella fatta da tutto il sistema industriale italiano. PESO SULLA R&S ITALIANA 20%L'INDOTTO L'equilibrio con la supply chain
I fornitori italiani del gruppo sono poco più di 5.700. Il 35% di questi, cioè circa 2mila, si possono considerare technology-based. Sono imprese a buon tecnologico che assolvono compiti precisi nel ciclo tecnologico e industriale del gruppo italiano. Si tratta di un equilibrio delicato, dato che per lo più operano con Finmeccanica.

PMI TECH-BASED 2.000

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