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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2013 alle ore 08:14.

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Barack ObamaBarack Obama

NEW YORK. Fumata nera, come da prevedersi: il conclave alla Casa Bianca fra Barack Obama e la leadership del Congresso si è chiuso ieri con un nulla di fatto. Il capo della maggioranza repubblicana alla Camera del resto aveva già annunciato giovedì che, visti i presupposti, non avrebbe negoziato con il presidente. Venerdì, uscendo dall'Ufficio Ovale, John Boehner ha confermato: «Chiariamo subito un punto, il presidente ha avuto gli aumenti fiscali il 1° gennaio. La discussione sulle entrate per quel che mi riguarda è chiusa. Qui a Washington dobbiamo solo parlare della spesa». Ma Obama non ne vuol sapere, vuole altri aumenti ed ha attaccato i repubblicani per non aver aperto un negoziato equo. «Si trattava di chiudere alcune scappatoie fiscali, di togliere deduzioni inutili a chi si compra un jet privato o alle compagnie petrolifere, invece toglieremo l'educazione ai bambini poveri».

La retorica, soprattutto democratica, è aggressiva perché alla fine la palla passa all'opinione pubblica. Quando gli 85 miliardi di tagli di spesa previsti per il 2013 cominceranno gradualmente ad essere applicati, si colpiranno servizi sociali, progetti di ricerca, sicurezza agli aeroporti, programmi educativi per i più poveri. Si stima una perdita potenziale di 750mila posti nel corso dell'anno e un impatto dello 0,6% sul Pil. «A un certo punto la gente reagirà, vi saranno manifestazioni di scontento aumenteranno le pressioni dell'opinione pubblica e dei media. E la domanda sarà: di chi è la colpa? Non è chiaro come si orienteranno gli americani anche perché i tagli automatici furono proposti da Barack Obama», dichiara l'economista Allen Sinai al Sole 24 Ore.

In effetti il progetto originario è di Obama. Diciotto mesi fa il presidente e i suoi consiglieri avevano ideato il meccanismo dei tagli automatici in mancanza di un consenso bipartisan, non sulla cifra, su cui le parti concordavano, ma su come ridurre il disavanzo pubblico. L'obiettivo resta di tagliare circa 4.mila miliardi di dollari dal disavanzo pubblico americano in dieci anni, riducendo il rapporto deficit Pil dall'attuale 10% circa al 4%. Dei 4mila miliardi, 2.500 circa sono già stati tagliati, ne mancano 1.500. Se si fosse trovato un accordo i tagli sarebbero partiti dal 2014 in avanti. Il meccanismo automatico invece parte da subito, prevede tagli per 1.200 miliardi circa in dieci anni, di cui 85 miliardi solo nel 2013. I tagli inoltre riguardano per circa il 50% il settore difesa.

La Casa Bianca puntava sul fatto che i repubblicani avrebbero ceduto sul fronte fiscale pur di non ridurre troppo le spese del Pentagono. Ma così non è stato. I repubblicani, con una guerra archiviata e un'altra in fase di archiviazione, hanno tenuto duro: per loro è più importante non cedere sulle tasse invariate che accettare tagli al Pentagono. Non solo, sul piano politico i repubblicani di destra per la prima volta si raccolgono attorno al loro leader che sposa la linea dura. Come i democratici, guardano alle elezioni del 2016 che rinnoveranno la Camera e un terzo del Senato.

Il problema per Obama è che molti democratici non disdegnano il piano: ad esempio con i tagli obbligati non devono accettare tagli alla spesa sociale che non sarebbero di molto superiori a quelli previsti dai meccanismi automatici. E ottengono tagli alla spesa per la Difesa che non avrebbero mai avuto in un negoziato con i repubblicani. Il prossimo appuntamento? Quando l'opinione pubblica americana darà segnali di insofferenza e sceglierà il “colpevole” per i disagi.

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