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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2013 alle ore 07:36.

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Montini, nel frattempo, è il primo cardinale nominato dal "Papa buono", il quale fa di più per preparare il terreno all'arcivescovo di Milano: indice il Concilio Vaticano II - che di per sé apre il confronto interno alla Chiesa – e irrobustisce il sacro collegio oltre il tetto storico dei 70 membri, con molti ingressi internazionali (fra cui il primo porporato africano). Quando Papa Giovanni muore – nel giugno 1963 - il conclave è una partita annunciata, un doppio referendum: pro o contro il Concilio appena aperto; pro o contro Montini, l'unico cardinale ritenuto realmente capace di pilotare "il '68 della Chiesa" tenendo il più possibile a bordo tutto e tutti. Su posizioni più progressiste è inizialmente in campo anche il cardinale bolognese Giacomo Lercaro. Dall'altra parte c'è ancora Siri a fianco dei papabili curiali, fra i quali il "carabiniere della Chiesa" Achille Ottaviani, predecessore di Ratzinger al Sant'Uffizio. L'arcivescovo di Milano ottiene però subito un forte "endorsement" dai big conciliari europei: il belga Suenens; il tedesco Frings, l'olandese Alfrink, il francese Leger, l'austriaco Koenig oltre al cardinale vicario di Roma, Micara. Il summit si tiene in un convento a Frascati: Montini accetta di correre. Lercaro è invitato: declina, ma intuisce e tacitamente approva. La manovra vincente per il conclave è impostata: Montini parte in testa la mattina del 20 giugno. Al secondo scrutinio Lercaro fa convergere i suoi voti e il "front runner" vede il traguardo dei 54 voti necessari sul "plenum" di 81. La partita è decisa, anche se per piegare la resistenza dei curiali ci vorranno ancora quattro scrutini, una notte e un episodio senza precedenti: il curiale bergamasco Gustavo Testa – amico personale di Papa Giovanni – pronuncia in conclave un breve appello pro-Montini, duramente censurato dal decano Tisserant.
Dopo l'"habemus papam" del 21 giugno, i porporati rientrano per il pranzo nel celebre appartamento Borgia del Palazzo Apostolico, dove allora il conclave era "sigillato". L'atmosfera è ancora talmente tesa che il papa neo-eletto rinuncia a sedere a capotavola: consuma il pasto defilato rispetto al decano Tisserant, mescolato ai colleghi, fra i quali il 66enne Paolo VI è uno dei più giovani. Sarà lui a decidere di fissare per il futuro il limite degli 80 anni per i conclavisti: si dice anche perché, nel serrato confronto del 1963, un cardinale molto anziano aveva a un certo punto votato per un candidato del conclave precedente. Nella recentissima dichiarazione di rinuncia di Benedetto XVI – quasi 86 enne – c'è un riferimento diretto all'"ingravescentem aetatem", "l'eta che avanza", che spinse Paolo Vi a una scelta inizialmente parecchio discussa.

Domenica 26 agosto 1978: nello stesso appartamento Borgia, affrescato da Pinturicchio, 111 cardinali elettori sono seduti a tavola dopo i prime due scrutini. Il clima è rilassato: perfino il patriarca di Venezia, Albino Luciani, riesce a stemperare la tensione di essere il più votato, con alta probabilità di diventare papa prima di sera. A fine pranzo l'arcivescovo di Madrid, Vicente Enrique y Tarancon, chiede il permesso di accendere un piccolo sigaro: «purché il fumo sia bianco», accorda pronto il futuro "Papa del sorriso", accentuando l'apparente buonumore di quel conclave. Ma Giovanni Paolo I sopravviverà poco più di un mese, stroncato dal peso di un papato che certamente lui non aveva cercato e altri avevano deciso per lui.
Il lunghissimo pre-conclave era cominciato due anni prima della morte di Paolo VI. Il suo più fidato tecnocrate di Curia, "sua efficienza" Giovanni Benelli , viene promosso poco più che cinquantenne a Firenze, naturalmente con la porpora (lo stesso giorno viene chiamato alla ribalta un altro "cardinale prodigio": Joseph Ratzinger di Monaco di Baviera). Nell'estate '78 il "puzzle" non cambia: Benelli "rivestito" da arcivescovo diocesano è gradito a molti cardinali internazionali, ma sconta la giovane età e la spinta conciliare "montiniana" ormai indebolita. Il fronte neo-conservatore però, si ritrova ancora dietro Siri, ormai "old". Un ruolo importante nella mediazione, lo gioca il francese Jean Villot: segretario di Stato, camerlengo, decano supplente, uomo schivo e senza ambizioni papali. E' lui che orienta le congregazioni generali con piglio manageriale: ogni giorno c'è in agenda un memorandum scritto su un grande tema di attualità ecclesiale, sapientemente preparato dalle "teste d'uovo" della segreteria di Stato. Il "grande compromesso" su Luciani (fra italiani, fra Curia e vescovi del mondo) matura quasi senza scosse: e non sorprende che Giovanni Paolo I confermi subito Villot e tutti i suoi capi-dicastero in Vaticano.

Ma il "mistero" del conclave non dorme mai. E all'inizio di ottobre 1978 la giostra delle congregazioni ricomincia. Gli elettori sono sempre 111: il cardinale di Washington, John Wright, malato ad agosto, stavolta c'è (lo accompagna il segretario Donald Wuerl, che trentacinque anni dopo – stamattina – siede lui in congregazione). La voglia di una soluzione concordata, però, è svanita con la scomparsa improvvisa di Luciani. Il pre-conclave serve solo ad attrezzare opposti schieramenti, ad accumulare munizioni. Gli italiani sono divisi: nelle cartelle personali sui tavoli damascati della Sistina, i conclavisti trovano fotocopia di una controversa intervista rilasciata da Siri, con toni reazionari . I curiali, dal canto loro, non ci stanno a passare per i soliti "impresentabili", esclusi in partenza dalla gara. Il montinismo di Villot è ormai quasi inservibile. In Sistina è quindi battaglia campale fra Siri e Benelli per tutto il primo giorno: vero paradigma delle «sacre lotte» battezzate dal vaticanista Giancarlo Zizola. Al quarto scrutinio, hanno raccontato poi, Siri non è troppo lontano dai 77 voti del quorum, ma in un vero conclave globale il tempo per le dispute rinascimentali all'italiana è scaduto: l'arcivescovo ligure non sarà mai papa e Benelli morirà poco tempo dopo, a soli 61 anni, stroncato da un infarto.

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