Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2013 alle ore 12:47.

My24

Il convoglio si rimette in moto dopo la visita alla mostra che spiega molto del passato e illustra un cammino per il futuro. Esce dal breve viale del museo, abbellito da due file di palme. A destra la piccola penisola di West Bay era deserto che arrivava fino al mare. D'improvviso è diventata come Manhattan: i grattacieli sono tutti illuminati, quelli finiti e quelli ancora in costruzione.

Il museo disegnato da I. M. Pei e il palazzo dell'emiro sono al centro della corniche, fra la metropoli del futuro e la città vecchia. Anche in questa, tuttavia, ogni edificio è stato ristrutturato e ripristinato come alle origini dell'emirato, compreso il suk dei falconi da caccia, con la convinzione che senza quel passato non ci possa essere questo presente.
Da dieci anni Doha è un cantiere ed è previsto che continui a esserlo fino al 2030 con opportunità incalcolabili d'investimenti, mondiali di calcio compresi. I pannelli che dividono i cantieri dalla strada sono pieni di esortazioni: "Impara", "crea", "innova", "esplora", "scopri", "realizza". Le ha volute Sheikha Mozah che ha creato Education City, a venti chilometri dal centro: sta diventando un campus universitario gigantesco. Non avrebbe senso per una popolazione di 1,7 milioni di abitanti, meno di 300mila dei quali indigeni, se non fosse pensato per i giovani di tutto il mondo arabo.

"Vision 2030" è la sintesi materiale di quell'ansia di modernità: fra 18 anni, è il calcolo dell'emiro, il Qatar sarà uno dei Paesi più avanzati del mondo. E forse si sarà portato dietro una buona parte del mondo arabo. Oggi sembra piuttosto inimmaginabile.
Il convoglio si lascia alle spalle lo skyline di West Bay ed entra nel suk. Con la loro discreta guardia del corpo, l'emiro, la moglie e la figlia camminano fra la gente che non si irrigidisce nello stupore, non si fa da parte; nessuno tenta di baciare le mani né lanciare al cielo qualche slogan in onore del capo, come si usa da queste parti. C'è un understatement generale. Anche l'emiro mostra una certa consuetudine al contatto con i sudditi – raro in Medio Oriente – i quali hanno molte libertà ma non possono criticare la famiglia regnante.

Camminando lentamente, godendosi la tiepida serata, Hamad al Thani riprende il discorso interrotto: "Il mondo arabo non può tornare indietro: non si può più fermare questo grande processo di cambiamento, dobbiamo imparare a governarlo, ad assecondarlo". Il Qatar forse è troppo piccolo anche se molto ricco, per un compito di leadership. Ma è chiara la convinzione che l'emirato non possa raggiungere i suoi obiettivi di sviluppo in una regione che resti arretrata.

Forse oggi è la guerra civile siriana l'ostacolo più grande alla rivoluzione che ha in mente l'emiro. Quando la famiglia entra al Damasceno dove ha deciso di cenare, camerieri e proprietari sono imbarazzati come quando arriva un cliente importante che non ha prenotato. Viene trovato un buon tavolo sulla terrazza al piano di sopra. Come si deduce dal nome, la cucina è siriana: carne condita di melograno, humus, verdura e shawarma. Al narghilé però, l'emiro preferisce i suoi sigari Cohiba Lancero. Gli stessi che amava Fidel Castro.

Shopping24

Dai nostri archivi