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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2013 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 25 febbraio 2014 alle ore 19:28.

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di Michele Pignatelli
e Luca Veronese
C'è un altro circolo vizioso che l'Europa deve cercare di spezzare oltre a quello ben noto tra debito bancario e debito sovrano. È quello tra politiche di austerity, imposte ai Paesi salvati con prestiti internazionali, e recessione, con le inevitabili ricadute: consumi e investimenti in calo, disoccupazione alle stelle. Un mix pericoloso dal punto di vista sociale, che sempre più spesso riempie le piazze, da Atene a Lisbona o Madrid. E di cui, non a caso, si fanno interpreti i sindacati. «La troika? - ha commentato provocatoriamente qualche giorno fa David Begg, il segretario della confederazione sindacale irlandese Ictu -. All'Irlanda ha fatto più danni dell'Inghilterra in 800 anni».
Emergenza lavoro in Grecia
Primo Paese salvato nel 2010, la Grecia fa i conti con la situazione più grave e il livello di disoccupazione più alto nella Ue. Tre anni di austerity, pedaggio per il doppio pacchetto di aiuti Ue-Fmi da 173 miliardi di euro, hanno consentito progressi sulla strada del risanamento, senza però garantire una situazione finanziaria sostenibile: il debito per il 2013 è stimato dalla Commissione Ue al 175,6% del Pil e l'obiettivo del 124% nel 2020 non è considerato da tutti raggiungibile, nonostante le ripetute ristrutturazioni. Il 2013, con un calo del 4,4% del Pil, sarà il sesto anno consecutivo di recessione. Una vera emergenza è però il lavoro: il tasso di disoccupazione è al 27%, un dato che sfiora il 60% per i giovani.
Se si aggiungono i nuovi tagli in arrivo, con il pubblico impiego particolarmente colpito, si comprende perché le piazze siano tornate a riempirsi: 60mila persone il 20 febbraio ad Atene, durante l'ultimo sciopero generale contro l'austerity. «Un'esplosione sociale è molto vicina» ha detto il segretario dell'Adedy, il sindacato del pubblico impiego. La spirale negativa coinvolge inevitabilmente i consumi, calati del 6-8% annuo dal 2009 ad oggi, e le aziende che, faticando a finanziarsi a causa della crisi bancaria, non investono: qui i dati della Commissione Ue mostrano cali percentuali a due cifre.
Investimenti giù in Irlanda
Proprio gli investimenti, insieme alla disoccupazione, appaiono la nota dolente dell'Irlanda, che per il resto - per dirla con il suo ministro delle Finanze, Michael Noonan - avrebbe da raccontare una storia «abbastanza buona» di salvataggio e rinascita, se è vero che la crescita è tornata nonostante le misure di austerity concordate con i creditori internazionali dopo il salvataggio da 67,5 miliardi. Nel 2012 gli investimenti, che nel 2006 erano al 27,1% del Pil, alle spalle solo della Spagna nell'area euro, sono scesi sotto il 10%, peggior performance nella Ue. «Serve un regime fiscale che incoraggi gli investimenti», sottolinea Danny McCoy, direttore generale dell'Ibec, la maggiore organizzazione imprenditoriale, che tuttavia prevede una ripresa già quest'anno. «Questo si tradurrebbe in un incremento dell'attività economica, nuovi posti di lavoro e maggiori entrate fiscali».

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