Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2013 alle ore 12:30.

My24

Analisi di Emilia Patta
«Apriamo questa direzione nel pieno rispetto dei percorsi istituzionali e delle prerogative del Capo dello Stato». Questa è la frase che molti dirigenti del Pd aspettavano, e grazie a questa frase Pier Luigi Bersani si appresta a ricevere dalla direzione del Pd il pieno mandato a portare avanti la sua proposta in 8 punti davanti al Parlamento. Il segretario del Pd non ha pronunciato l'aut aut delle urne subito – come invocano i "giovani turchi" di Stefano Fassina e Matteo Orfini – se il suo tentativo di apertura al movimento di Beppe Grillo dovesse fallire. Lo scioglimento delle Camere rientra evidentemente nella prerogative del Capo dello Stato. Ma Bersani i suoi paletti li mette eccome: «Non riteniamo né praticabili né credibili accordi di governo tra noi e la destra». Il sentiero, se il M5S dovesse rifiutare l'offerta di collaborare in Parlamento sui provvedimenti proposti, appare dunque strettissimo. Questo il limite principale della proposta di Bersani, che tuttavia ha il merito in questa fase di tenere unito il partito e di porre sul tavolo la questione tabù. Ossia l'accordo con il Pdl, che lui e molti nel Pd vedono come la disfatta finale.

Quanto agli otto punti, ci pare siano in sostanza la riproposizione del programma presentato in campagna elettorale. C'è la correzione delle politiche europee di stabilità; c'è l'allentamento del patto di stabilità interno per rilanciare le piccole opere nei comuni a partire da scuole e ospedali; c'è la riduzione e la redistribuzione dell'Imu; c'è il conflitto d'interessi; c'è la green economy; c'è il capitolo diritti civili caro a Nichi Vendola. Di nuovo solo l'«avvio della universalizzazione delle indennità di disoccupazione» e l'«introduzione di un reddito minimo d'inserimento».

È in sostanza il reddito di cittadinanza di cui parla Grillo, il sussidio universale di disoccupazione che nel nostro Paese mai c'è stato e per il quale non sono per altre specificate le necessarie (e ingenti) risorse. Quanto ai costi della politica, Bersani ripete i punti già snocciolati in campagna elettorale senza pronunciare la frase "abolizione totale del finanziamento pubblico ai partiti" già pronunciata in questi giorni nelle sue uscite pubbliche da Matteo Renzi. Il segretario ha ammesso che il Pd non ha capito fino in fondo il disagio e la rabbia della gente su questi temi, ma continuare a sostenere la necessità del finanziamento pubblico ai partiti in questa fase significa probabilmente continuare a non capire.

Lo scenario immediato è dunque quello di un (probabile) incarico esplorativo da parte del Capo dello Stato a Bersani, forte del mandato che si appresta a prendere dalla direzione del Pd. Ma lo scenario immediato si ferma qui. Quasi nessuno scommette sul successo dell'iniziativa bersaniana, se non altro perché Grillo chiude tutti i giorni la porta in faccia alla proposta. E la maggior parte dei dirigenti democratici (da Walter Veltroni a Massimo D'Alema a Enrico Letta a Dario Franceschini) sono contrari alla soluzione greca del ritorno immediato alle urne e vedono con favore la possibilità di un governo del presidente di larghe intese per fare poche cose urgenti – tra cui la riforma elettorale – e tornare al voto comunque nel giro di un anno.

I conti veri si apriranno dunque nel Pd solo tra qualche giorno, dopo il probabile fallimento della carta bersaniana dell'apertura al M5S, e investiranno direttamente la leadership del partito. Renzi è pronto al passaggio di consegne e la sua presenza alla direzione del partito ne è la prova plastica. E per il sindaco di Firenze poco cambia se si tornerà al voto a giugno, a novembre o fra un anno, anche se a questo punto qualche mese di vita parlamentare potrebbe essere utile per "sfiancare" il movimento grillino. Lui è pronto a nuove primarie per la premiership, e nessuno nel Pd – anche suoi vecchi nemici come D'Alema – stavolta lo fermerà.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi