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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2013 alle ore 07:50.

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(Reuters)(Reuters)

La decisione del governo italiano di non fare rientrare in India i due marò accusati di aver ucciso due pescatori indiani nel corso di un'operazione antipirateria sta causando un terremoto politico e diplomatico. Il primo ministro indiano, Manmohan Singh, ha dichiarato oggi che la situazione creata dal governo italiano è «assolutamente inaccettabile». Parole simili a quelle usate dal chief minister del Kerala, lo Stato del sud dell'India dove vivevano le due vittime, che questa sera volerà a New Delhi per conferire con il primo ministro. La Ue «prende nota della dichiarazione del ministro», Giulio Terzi, e «spera che si trovi una soluzione nel pieno rispetto della convenzione Onu sul diritto del mare e delle leggi internazionali e nazionali» ha detto il portavoce dell'alto rappresentante della politica estera della Ue, Catherine Ashton.

Dichiarazioni alle quali è seguita la prima iniziativa ufficiale del governo di New Delhi: la convocazione dell'ambasciatore d'Italia a New Delhi, Daniele Mancini, al ministero degli Esteri per fornire spiegazioni sulla decisione di non far ritornare i marò in India alla fine del loro permesso.

«L'Italia ha informato il Governo indiano - si legge nella nota diramata ieri dalla Farnesina - che, stante la formale instaurazione di una controversia internazionale tra i due Stati, i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non faranno rientro in India alla scadenza del permesso loro concesso».

È stato l'ambasciatore italiano a New Delhi, Daniele Mancini, a comunicare alle autorità indiane la decisione italiana, assunta d'intesa - si legge nel comunicato - con i ministeri della Difesa e della Giustizia e in coordinamento con la Presidenza del Consiglio dei Ministri. «L'Italia ha ribadito formalmente al governo indiano, con la nota verbale consegnata oggi dall'Ambasciatore Mancini, la propria disponibilità di giungere ad un accordo per una soluzione della controversia, anche attraverso un arbitrato internazionale o una risoluzione giudiziaria» conclude la nota.

Con un notevole ritardo sui tempi previsti, e dopo una plateale reprimenda da parte della Corte Suprema, il governo indiano aveva avviato a New Delhi le procedure per la costituzione di un tribunale speciale chiamato ad esaminare la questione della competenza giurisdizionale (indiana o italiana) sull'incidente - avvio che, di fatto, ha giustificato dal punto di vista formale la decisione della Farnesina.

«È l'unica soluzione possibile, in linea con quello che il diritto internazionale prescrive, anzi si sarebbe dovuto adottarla da tempo», ha commentato Angela Del Vecchio, docente di diritto internazionale all'Università Luiss di Roma. «Siamo davanti a un caso di classica controversia internazionale tra due Stati che che per uno stesso fatto attestano la propria competenza a giudicare. Le controversie internazionali non possono essere risolte dagli organi giurisdizionali interni, peraltro di una delle parti, ma si devono affidare ad arbitri internazionali o a giudici internazionali».

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