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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2013 alle ore 06:41.

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ROMA
Il Governo in carica per gli affari correnti ha deciso di trattenere in Italia i due sottufficiali del Reggimento San Marco, Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, accusati di avere ucciso il 15 febbraio del 2012 due pescatori del Kerala durante un'attività antipirateria in acque internazionali. E ha scaricato così sul prossimo Esecutivo tutte le conseguenze di un terremoto diplomatico dagli esiti incerti anche dal punto di vista economico. I due marò si trovavano in patria per potere votare e avevano già goduto di un'analoga licenza durante le feste di fine anno facendo poi ritorno nelle carceri indiane. Pronta la replica indiana secondo la quale i fucilieri dovranno essere giudicati in India.
Il nuovo atteggiamento va ricercato nella decisione della Corte suprema indiana del 18 febbraio di chiudere la porta a un accordo su un arbitrato internazionale. Linea di "coerenza" e di pieno rispetto della legalità internazionale secondo fonti della Farnesina il cui titolare, Giulio Terzi, avrebbe preferito una simile soluzione con un Governo pienamente in carica. Una volta caduti nella "trappola" del Kerala e dopo i numerosi piccoli e grandi errori inanellati nelle prime ore della crisi le nostre autorità avevano percorso tutte le strade possibili per riportare a casa i due fucilieri del Reggimento San Marco, non escluso un blitz di reparti speciali (che hanno tra le loro fila molti appartenenti al San Marco e al Comsubin).
La settimana scorsa il ministro Terzi, insieme ai colleghi della Difesa Di Paola e della Giustizia Severino, avevano esaminato tutti gli aspetti della vicenda proponendo una «soluzione amichevole anche attraverso un arbitratro o soluzione giudiziaria» precisando che con l'instaurazione della controversia tra i due Stati «i fucilieri dovranno restare in Italia». In un comunciato del ministero degli Esteri si ricorda che «su istruzioni del ministro degli Esteri Giulio Terzi, l'Ambasciatore d'Italia a New Delhi Daniele Mancini ha consegnato alle autorità indiane una nota verbale con la quale il Governo italiano ha reso noto al Governo indiano» la decisione di non far ripartire i marò». «L'Italia - si legge nella nota - ha sempre ritenuto che la condotta delle Autorità indiane violasse gli obblighi di diritto internazionale gravanti sull'India in virtù del diritto consuetudinario e pattizio, in particolare il principio dell'immunità dalla giurisdizione degli organi dello Stato straniero e le regole della Convenzione delle Nazioni unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) del 1982». «All'indomani della sentenza del 18 gennaio 2013 della Corte Suprema indiana - prosegue la nota - l'Italia ha proposto formalmente al Governo di New Delhi l'avvio di un dialogo bilaterale per la ricerca di una soluzione diplomatica del caso, come suggerito dalla stessa Corte, là dove richiamava l'ipotesi di una cooperazione tra Stati nella lotta alla pirateria, secondo quanto prevede la citata Convenzione UNCLOS. Alla luce della mancata risposta dell'India alla richiesta italiana di attivare tali forme di cooperazione, il Governo italiano ritiene che sussista una controversia con l'India avente ad oggetto le regole contenute nella predetta Convenzione e i principi generali di diritto internazionale applicabili alla vicenda».

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