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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2013 alle ore 06:37.

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Tassi in salita e concessione dei prestiti alle imprese in caduta: la forbice, tipico segnale del credit crunch, è tornata ad allargarsi. Questa volta con una difficoltà in più per le aziende: dopo aver colpito gli investimenti, ora la crisi di liquidità ha contagiato anche la cassa.
La nuova stretta fa più paura perché alla radice non c'è solo la ripresa sempre più timida e lontana dell'economia reale. C'è anche il maggior rigore richiesto dai regolatori alle banche sugli accantonamenti, proprio nel momento in cui si trovano a dover fronteggiare – sempre per causa della crisi – volumi di sofferenze decisamente superiori al passato anche più recente.

I primi segnali del nuovo giro di vite si sono avuti a novembre, quando Bankitalia ha avviato una serie di ispezioni nei primi 20 istituti, a cui hanno fatto seguito altre "visite" alle banche minori; sotto la lente, in tutti i casi, sono finiti i singoli crediti, il rating assegnato, le eventuali svalutazioni degli impieghi e degli immobili posti a garanzia.
La conseguenza? «Il quadro è molto preoccupante – spiega Giovanni Torri, presidente di Unindustria Forlì Cesena – perché molte aziende, in particolare le piccole e le medie, hanno seri problemi di liquidità per il breve-medio periodo. Il sistema non funziona più e senza liquidità anche la timida ripresa prevista per la seconda parte dell'anno è a rischio». Secondo Torri, uno dei motivi per cui si è rarefatta l'erogazione di credito bancario, è da ricercare nell'azione di Banca d'Italia. «Questo – aggiunge – ha ridotto le disponibilità finanziarie per il credito alle imprese e ha portato, in molti casi, a rinegoziare le linee di affidamento già aperte».

Di fatto anche le banche più sensibili alle esigenze del territorio si sono ritrovate con le mani legate. Un esempio? Il profit warning del Banco Popolare della settimana scorsa, il primo che ha denunciato pubblicamente la necessità di aumentare gli accantonamenti (e quindi di azzerare la cedola). Ma anche il rosso da mezzo miliardo di Banca Marche, dovuto – come ha ammesso il neo direttore generale Luciano Goffi – a «errori dettati da eccessivo ottimismo e sottovalutazione del rischio» nella concessione dei mutui. Una "leggerezza" passata che ora la Banca si trova a dover pagare con un miliardo di accantonamenti extra, e inevitabili conseguenze sui nuovi impieghi.

Per le piccole banche, spesso quelle più vicine alle imprese, il conto rischia di essere ancora più salato. «Perché più è ristretto il perimetro d'azione, più sono scarse le possibilità di compensare con credito buono quello cattivo», dice un banchiere. E così il credit crunch 2013 non fa sconti, andando a investire anche il credito cooperativo, le piccole casse di risparmio, le Popolari.

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