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Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2013 alle ore 19:26.

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Il caso dei marò italiani continua a tenere banco nella politica indiana. Il presidente del partito induista Bjp all'opposizione, Rajinath Singh, ha chiesto che Salvatore Girone e Massimiliano Latorre siano ufficialmente, «dichiarati latitanti» e che il «governo indiano provi ad arrestarli chiedendo l'intervento dell'Interpol, visto che hanno violato la legge».

Singh ha anche chiesto, senza specificare cosa, che New Delhi assuma iniziative contro l'ambasciatore italiano, Daniele Mancini, che si era fatto garante, a nome del governo italiano, del ritorno dei due marò quando gli fu concessa a fine febbraio la licenza di un mese per venire a votare.

Intanto notizie di stampa riportano che il governo indiano sta valutando la possibilità di non riconoscere più l'immunità diplomatica all'ambasciatore italiano a Mancini. Lo scrive il sito indiano IbnLive che cita fonti del ministero degli Esteri indiano.

Secondo il sito dell'emittente, se ne è discusso in un incontro tra funzionari del ministero degli Esteri e dell'Interno indiani; si è ipotizzato che non venga riconosciuta l'immunità al diplomatico perché è stato disatteso l'accordo solenne tra i due Stati sovrani dinanzi alla Corte Suprema; secondo le fonti, il governo potrebbe presentare una richiesta in tal senso alla Corte Suprema. Tra le altre reazioni, l'India sta valutando anche l'espulsione dell'ambasciatore italiano Daniele Mancini.

È innegabilmente alta tensione, quindi, tra Roma e New Delhi, per la decisione italiana di non far rientrare in India dalla licenza elettorale i due fucilieri. La decisione italiana avrà delle «conseguenze», ha detto il premier indiano, Manmohan Singh.

Singh ha accusato Roma di aver violato «le regole della diplomazia e messo in discussione un solenne impegno preso da un rappresentante del proprio governo». «Il nostro governo», ha aggiunto il premier indiano, che ha un account Twitter, «ha già fatto presente che queste azioni sono inaccettabili» e «non sono in linea con le nostre relazioni bilaterali, che devono funzionare sulla base della fiducia». Roma, dunque, «mantenga la parola» oppure «vi saranno conseguenze sulle nostre relazioni».

Nel frattempo, l'avvocato indiano che rappresentava l'Italia di fronte alla Corte Suprema nel caso dei marò si è ritirato dal processo. La decisione con cui Roma ha tenuto in patria Salvatore Latorre e Massimiliano Girone è «una rottura della fiducia», ha affermato uno «scioccato» Harish Salve in una nota. «Sono prima di tutto un alto funzionario della Corte», si legge, «e alla Corte devo far riferimento prima di altri».

Da Tel Aviv il ministro degli Esteri Giulio Terzi intanto ribadisce: «Abbiamo molti motivi giuridicamente solidi per procedere nella direzione intrapresa: l'arbitrato internazionale». «Tutto quello che il Governo indiano deve sapere sui nostri motivi, lo conosce ampiamente, così come molti nostri partner».

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