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Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2013 alle ore 22:59.
Tra le tante regole non scritte che compongono il "mistero del conclave", ce n'è una che è stata clamorosamente confermata nel 2013: chi è "papabile" - per davvero - una volta , lo resta per sempre (accadde già a Karol Wojtyla, che aveva ricevuto quattro voti nell'agosto 1978, prima della clamorosa elezione dell'ottobre successivo). Jorge Mario Bergoglio era, sotto questo profilo, il più "papabile" fra tutti i 115 entrati in Cappella Sistina.
La mattina del 19 aprile 2005, l'arcivescovo di Buenos Aires aveva ottenuto al terzo scrutinio 40 voti: davanti a lui c'era solo il decano del Sacro Collegio, Joseph Ratzinger. Quest'ultimo, dopo una martellante esposizione mediatica nella sede vacante dopo la morte di Papa Wojtyla, aveva cementato la sua candidatura - a nome del compatto fronte curiale - con la dura omelia contro la «dittatura del relativismo» nella Messa Pro Eligendo Pontifice. Entrato di slancio in conclave, Ratzinger aveva ottenuto 47 voti nello scrutinio-primaria del lunedì sera: molti, ma ancora lontano dai 77 richiesti dal quorum. Tuttavia la sua candidatura era parsa subito lanciata verso il traguardo per l'assenza di un vero "competitor".
Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano e unico vero rivale possibile per il cardinale tedesco, era già fuori gioco per le precarie condizioni di salute: per lui una decina di voti di stima. Un omaggio dovuto, ma forse anche un passo sbagliato dal fronte che desiderava già otto anni fa una discontinutà rispetto al lunghissimo regno wojtyliano.
Al secondo scrutinio, il non molto conosciuto Bergoglio raccoglie un pacchetto di voti importante, ma rispetto a un Ratzinger già "in fuga per la vittoria" sembra già un candidato di bandiera: il portavessillo di una minoranza qualificata che non si opporrà alla promozione del super-veterano tedesco della Curia, ma vuole comunque segnalarsi nel passaggio forte dell'eleziona papale. Forse in questa chiave vanno interpretate alcune delle voci inverificabili che accompagnano ogni conclave: lo smarrimento e il rifiuto da parte del gesuita argentino (probabilmente confessati al celebre collega italiano) nella pausa di pranzo, sempre decisiva. È invece più probabile che sull'elezione di Ratzinger (non un plebiscito: 84 voti su 115 contro i 99 di Wojtyla e Luciani, su 111) abbiano pesato due altre circostanze.
Le vecchie regole fissate da Wojtyla ammettevano che dopo molti scrutini a vuoto si passasse a maggioranza semplice (e la cinquantina di voti iniziali a Ratzinger rappresentavano già un blocco). In secondo luogo, l'apparente debolezza della candidatura Bergoglio avrebbe imposto il passaggio a un terzo nome: quasi sicuramente il presidente dei vescovi italiani Camillo Ruini. Profilo impeccabile, ma forse troppo forte, sia per la Curia vaticana, sia per l'episcopato italiano.
Otto anni dopo Bergoglio ha battuto – quasi sicuramente – il cardinale Angelo Scola: identikit con più carisma internazionale di Ruini e partito al primo scrutinio probabilmente con più di 50 voti. Anche prima di conoscere i primi frammenti di cronaca del conclave ancora caldo di fumata (ma accadrà presto) è questo particolare a far riflettere su quanto fosse alto il malessere nella Chiesa "fuori Roma".
Ps/1: come il 77enne Angelo Giuseppe Roncalli, eletto nel 1958, anche Bergoglio sale al Soglio come Papa "di transizione": vedremo se vorrà anche lui stupire il mondo con la convocazione di un Concilio Vaticano III (lo desiderava apertamente Martini)
Ps/2: "winner" indubitabili, nella sera di Bergoglio, sono gli undici cardinali americani. Le loro mosse nel pre-conclave (molte delle quali realizzate da una straordinaria spin-doctor, Sister Mary Ann Walsh) sono già un caso che meriterà un esame più approfondito.
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