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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2013 alle ore 08:18.

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Da mesi chiedevamo all'Unione europea che desse via libera alle misure più urgenti per la crescita - i pagamenti dei debiti alle imprese, gli investimenti pubblici anche in deroga al patto di stabilità, gli incentivi all'occupazione giovanile. Più di recente lo aveva fatto addirittura il Capo dello Stato. Davanti ad un simile crescendo, o forse a causa di esso, eravamo in molti ad attendere la riunione del Consiglio Europeo di giovedì scorso come l'evento risolutivo, quello che avrebbe dato finalmente risposta alle nostre domande.
La risposta è stata invece - come si è scritto- interlocutoria, e la nostra prima reazione è quella di pensare, una volta di più, che non ci si renda conto lassù dell'urgenza delle questioni sul tappeto. Non so tuttavia quanto valga la pena (se non per sfogarsi) limitarci a commenti di questa natura o non sia meglio piuttosto domandarci se la risposta "interlocutoria" apra spazi che noi abbiamo la possibilità, e la responsabilità, di sfruttare. Dopo tutto lo sappiamo bene che in un consesso composito come il Consiglio europeo i cambiamenti maturano sempre più lentamente di quanto vorremmo. E quando cominciano a manifestarsi può ben essere che tocchi a chi più vi ha interesse assumere le sue responsabilità per rendere concrete le prospettive che in tal modo si aprono.
Se leggiamo in questa chiave le conclusioni raggiunte giorni fa dal Consiglio, non possiamo negare che esse sono segnate da un evidente cambiamento, giacché nessuno potrebbe più dire, scorrendole, che l'Europa è ferma e impuntata nella sua austerità a senso unico, ignara delle ragioni della crescita e delle politiche specifiche che essa richiede. In esse si prende infatti atto in partenza della stagnazione prevista per il 2013 e dei livelli di disoccupazione "inammissibilmente elevati", si affiancano perciò ai perduranti programmi di stabilità le azioni per la crescita e per promuovere posti di lavoro soprattutto per i giovani, si parla di ciò che possono fare sia gli Stati membri sia l'Unione per aumentare gli investimenti.

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D i sicuro perciò non è il linguaggio a cui ci eravamo abituati nei mesi scorsi. Gli effetti recessivi prodotti da politiche di austerità perseguite senza alcun bilanciamento e per ciò stesso ben superiori al previsto, oltre ovviamente alla drammaticità delle conseguenze sociali che ne sono venute, cominciano a pesare sui nostri decisori. Ma perché allora non ci sono le risposte che aspettavamo, perché un linguaggio così mutato è rimasto, ancora una volta, ai preliminari? Semplicemente perché non tutti erano d'accordo che si cambiasse rotta e perché - come mi ha detto un autorevole testimone dall'interno - la distanza dalla "ortodossia teutonica" non avrebbe potuto essere, in questa prima uscita, maggiore. Il che era più che sufficiente a far sì che ci si fermasse al di qua delle determinazioni dotate di già di efficacia operativa.

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