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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2013 alle ore 15:33.

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Il decennale della guerra in Iraq è un anniversario ingannevole sul calendario del Medio Oriente. Possiamo dire che è cominciata con l'attacco americano del 20 marzo 2003 ma non come è finita perché la guerra civile prosegue anche dopo il ritiro, nel dicembre 2011, degli americani. Non solo. Il governo di Baghdad, abbandonata un'apparente neutralità, si è schierato a favore di Bashar Assad, sostenuto dall'Iran: la guerra siriana è entrata ai confini iracheni e divide la minoranza sunnita, che sostiene i ribelli, dalla maggioranza sciita. Inoltre il Kurdistan, a Nord, è in aperto conflitto con il governo centrale per la terra e il petrolio: gli effetti disgreganti provenienti dall'area curda siriano-irachena potrebbero diventare determinanti per dare il via a una possibile secessione.

Le conseguenze della caduta di Saddam Hussein sono, come si vede, più attuali che mai, anche se a stento qui ci ricordiamo dei militari italiani uccisi a Nassiriya. E non si può dire neppure che il conflitto del 2003 sia davvero iniziato allora, se non si tenessero presenti le guerre irachene passate, come quella del gennaio 1991, innescata dall'occupazione del Kuwait, e soprattutto il ruolo che ebbe l'11 settembre 2001, l'invasione dell'Afghanistan e la caccia a Bin Laden.

Il conflitto afghano e quello iracheno, a migliaia di chilometri di distanza, diventarono dei sanguinosi vasi comunicanti: al-Qaeda aprì la sua filiale in Iraq e i jihadisti di tutto il mondo musulmano accorsero per combattere gli americani tra il Tigri e l'Eufrate, scatenando guerriglia e terrorismo nella "terra dei due fiumi". Si capisce bene con questi precedenti perché la situazione in Siria oggi sia così scottante: i due conflitti si riflettono l'uno nell'altro.

Questa, se vogliamo, è la lezione più attuale e significativa del 2003. Lo ammettono parlando della Siria lo stesso Barack Obama e il suo vice John Biden: «Non vogliamo un altro Iraq nel cuore del Medio Oriente». Senza aggiungere un dato importante: che questa volta si tratta di una guerra ai confini di Israele che occupa dal '67 le alture siriane del Golan. Le esitazioni degli Stati Uniti a entrare nel conflitto siriano dipendono in buona parte dal caos nato dalla caduta del regime baathista iracheno, "gemello" ma per decenni avversario di quello siriano.

Perché gli americani attaccarono l'Iraq? «Certamente non siamo andati laggiù per la sabbia», dice riferendosi al petrolio l'ex agente della Cia e consigliere del dipartimento di Stato Robert Ebel: «Con l'Iran era l'unico Paese del Medio Oriente dove non c'erano compagnie americane». Ma a questa impresa contribuirono alcune bugie e diversi calcoli sbagliati, come l'idea che era venuto il momento di rifare la mappa del Medio Oriente. E si sbagliò anche il celeberrimo islamista Bernard Lewis, così ascoltato da Bush junior: «Gli americani - disse - verranno accolti come liberatori». Fu così in effetti, ma durò soltanto mezza giornata.

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