Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2013 alle ore 07:49.

My24

Ma sarebbe riduttivo vedere in questo più frequente uso della tiara solo un aspetto della mondanità e dello sfarzo del papato rinascimentale. L'adozione di un copricapo imperiale esteriorizzava quello che la trattatistica giuridica - si pensi alle opere prodotte durante il papato di Eugenio IV, di Pio II e ancora nel primo Cinquecento agli scritti di autori come Tomaso de Vio (Caietanus) - affermava sul primato papale e che l'evoluzione del cerimoniale rielaborava a livello del rito. In realtà la imposizione della tiara e questa sequenza del rito della incoronazione, che pure non era cruciale da un punto di vista giuridico-istituzionale, andò acquistando nuove valenze anche e soprattutto in rapporto alla costruzione della teoria del primato papale. Il testo di Burcardo relativo all'incoronazione di Giulio II ci prova che già a quella data (1503) la formula con cui il primo diacono accompagnava la imposizione della tiara intitolava il papa naturalmente Vicario di Cristo ma anche pater principum et regum e rector Orbis, una affermazione molto chiara del potere del pontefice romano come padre comune dei sovrani temporali e supremo regolatore delle sorti del mondo.

Questa dimensione trionfalistica del rito resse almeno apparentemente la sfida della riforma nonostante l'asprezza degli attacchi. Nel 1556 Pier Paolo Vergerio, definendosi servus atque exul Christi pubblicava a Tubinga il libello Ordo eligendi Pontificis et ratio, dedicato al marchese Adalberto di Brandeburgo, una descrizione per la verità abbastanza fedele dei riti di insediamento quali erano praticati nel Rinascimento, ma nella introduzione bollava come sentina la complicata liturgia del cerimoniale e come diabolica la pompa e il fasto che a suo parere nessun principe temporale, per quanto tirannico, aveva usato. Quel lusso insolente gli pareva perciò non essere proprio neppure di un tiranno ma di un Anticristo. E tuttavia i papi della fase post-tridentina, pure introducendo alcune variazioni alle consuetudini cerimoniali dei riti di insediamento nel senso della moderazione, amarono molto il triregno proprio come simbolo del primato la cui rivendicazione si accentuò dopo Trento in senso antiprotestante. Gregorio XIII, un papa il cui pontificato ebbe come cifra lo slancio universalistico a livello planetario, volle fare adornare il famoso triregno di Giulio II di uno smeraldo di eccezionali dimensioni, Sisto V amò usare con frequenza la triplice corona papale e Clemente VIII per il suo viaggio a Ferrara dopo l'annessione di quella città - tappa tardiva di quel processo di costruzione di uno stato territoriale ecclesiastico cui Alessandro VI e Giulio II avevano dato impulso fortissimo - ne fece fare uno per l'occasione. Anche Urbano VIII non esitò a commissionare un nuovo triregno. È in questo periodo - nella prima metà del Seicento - che il cerimoniere Giovanni Paolo Mucanzio si applica a giustificare presso la Congregazione dei Riti, l'intenso uso della tiara papale, scrivendo che, se certamente nell'antichità i pontefici non la portavano in Chiesa, la consuetudine di usarla nelle feste liturgiche propria dei suoi tempi non era un abuso ma una pratica "lodevole" e utile a confermare il popolo del potere spirituale del papa sui sovrani temporali.

Shopping24

Dai nostri archivi