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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2013 alle ore 15:00.

La partita del Quirinale e l'ipotesi Napolitano
Le riforme, insomma, sono il primo gancio per un silenzio-assenso di Berlusconi a un governo Bersani sostenuto dalla Lega. Il secondo gancio, naturalmente, è la partita del Quirinale. Il Cavaliere ripete da giorni che occorre un Capo dello Stato di garanzia e ha fatto chiaramente intendere che è questa l'unica cosa che gli interessa. Si parla di una rosa di nomi che Berlusconi avrebbe intenzione di sottoporre ai democratici, nomi di centrosinistra ma graditi al centrodestra come quelli di Massimo D'Alema, Giuliano Amato o Franco Marini. Ma sono in molti a scommettere che il punto di caduta sarà – in caso di governo delle intese più o meno larghe, anche nel caso in cui non sarà Bersani a guidarlo – la rielezione di Napolitano.

Obiettivo minimo: far partire la Legislatura
Va da sé che quella imboccata è una strada irta di ostacoli per Bersani. Come far digerire al partito e soprattutto all'opinione pubblica di riferimento una sorta di accordo di fatto con il centrodestra dopo che per un mese si è ripetuto come un mantra "mai con il Pdl"? Eppure per Bersani non ci sono alternative. L'unica carta che il segretario ha per restare in campo e paradossalmente tenere unito il partito è per ora questa. L'obiettivo minimo è avviare in qualche modo la legislatura con un voto di fiducia, magari per restare a gestire da Palazzo Chigi il ritorno alle urne se tutto dovesse precipitare subito dopo. In quest'ultimo caso sarà il Parlamento (e cioè il M5S) a prendersi la «responsabilità» di dire di no a un programma di cambiamento utile al Paese, ripetono gli uomini di Bersani. Questo lo schema di Largo del Nazareno. Ma la nascita del governo Bersani appare sempre più condizionata al via libera ufficiale o sottotraccia del Pdl, e qui si insidia la debolezza del progetto. Anche perché Giorgio Napolitano, nel concedere a Bersani l'onore e l'onore del tentativo, ha fatto chiaramente capire che lui preferirebbe la strada dell'esecutivo del presidente, ossia delle larghe intese (il Capo dello Stato ha usato l'espressione «grande coalizione») . E si capisce che sarà questa la strada che Napolitano esplorerà tra qualche giorno, se Bersani dovesse fallire nel suo tentativo. Il segretario del Pd deve convincere il Cavaliere e il Pdl che non c'è alternativa al suo governo e che un governo del presidente non potrà nascere perché il Pd non lo voterebbe: ma Bersani ha ancora la forza politica di garantire l'unità del suo partito? Questo il punto.

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