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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2013 alle ore 08:00.

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La bancarotta di Cipro e la sua uscita dall'euro, con imprevedibili conseguenze per l'Eurozona (Uem), è stata fortunatamente evitata. I rischi ci sono stati, anche se il Pil cipriota pesa solo lo 0,18% della Uem in quanto il contagio può partire anche da una piccola infezione. Lo dimostrano le dichiarazioni di sollievo per l'accordo di salvataggio da parte sia delle istituzioni europee che dalle prime valutazioni di media finanziari internazionali.

La crisi di Cipro e la sua soluzione lascia però aperti molti quesiti che le istituzioni europee dovranno chiarire presto anche per evitare l'emergere di altre situazioni di rischio. I quesiti si possono condensare in tre: quali rischi si sono corsi? L'accordo raggiunto stabilisce un "paradigma" per altri eventuali casi? La crisi non era prevedibile?
In premessa ricordiamo che il totale delle risorse finanziarie per salvare Cipro è stimato in 15,8 miliardi di euro dei quali 10 sarebbero forniti dall'Europa (con un eventuale contributo dell'Fmi) mentre 5,8 sono richiesti a Cipro. Entità, questa, modesta in termini assoluti sia in paragone alle cifre mobilitate nel salvataggio per Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna sia in rapporto alle potenzialità dei Fondi salva-Stati europei (Esm) sia ovviamente al Pil della Eurozona. L'importo chiesto a Cipro è lo 0,06% del Pil della Eurozona e l'1,1% della capacità di prestito dei Fondi salva-Stati. Davvero cifre minime anche se rispetto al Pil di Cipro si tratta di notevole entità pari a 32,5%.

Relativamente alla prima domanda circa i rischi che si sono corsi, è difficile dare una risposta netta. La prima ipotesi di accordo del 16 marzo, tra Cipro e le istituzioni europee (Eurogruppo, Bce, Commissione) affiancate dal l'Fmi, ha suscitato grande preoccupazione nel contesto internazionale. Procedere ad un prelievo forzoso su tutti i depositi presso le banche cipriote con aliquota del 6,75% per quelli fino a 100mila euro e del 9,9% per quelli superiori è apparsa subito una anomalia e non solo perché quelli sotto i 100mila sono coperti da garanzia.
Chi giustificava questo prelievo segnalava che molti depositi a Cipro erano russi e di oscura provenienza mentre chi l'osteggiava paventava il rischio di contagio con fuga dei capitali da tutti i Paesi europei traballanti. L'ipotesi di accordo è poi stata bocciata dal Parlamento cipriota aumentando il rischio della bancarotta di Cipro. Infatti erano andati a vuoto anche i tentativi ciprioti di ottenere un aiuto russo mentre la Bce avvertiva che se entro pochi giorni non si fosse trovato un accordo, avrebbe interrotto l'erogazione di liquidità a Cipro che intanto teneva le banche chiuse. Dunque l'Europa ha corso dei rischi notevoli.

Anche relativamente alla seconda domanda cioè se il risultato raggiunto sia soddisfacente la risposta non è facile. L'accordo di ieri tra la troika (i rappresentanti della Bce, della Commissione e del l'Fmi), l'Eurogruppo e il primo ministro cipriota si articola in estrema sintesi su tre punti.
- La ricapitalizzazione del l'intero sistema finanziario con la chiusura della banca più disastrata (Laiki) gravando le perdite sugli azionisti, sugli obbligazionisti e sui depositanti per importi superiori ai 100mila euro. È questa una nuova forma di "bail in" che rappresenta per la Uem una novità assoluta che non convince in quanto decisioni di questa natura dovrebbero essere adottate in contesti giuridico-istituzionali meno improvvisati. I depositi fino a 100mila euro saranno invece salvati e trasferiti alla Banca di Cipro che rimane in vita.
- L'introduzione di stringenti misure di anti-riciclaggio. Questo è un altro punto che avrebbe meritato (e che tuttora merita) più approfondimento. Perché se è vero che a Cipro ci sono capitali di provenienza illegale oltre a chiedere come mai questo Paese sia stato ammesso alla Eurozona il 1° gennaio 2008 ci si potrebbe anche chiedere perché questi non possano essere gravati da misure specifiche diverse da quelle relative ai depositi legali sopra 100mila euro.

- L'adozione di misure per ridurre il deficit sul Pil (stimato al 5,5% nel 2012 e per portare il debito sotto il 100% entro il 2020). Associate a queste politiche vi sono poi le privatizzazioni e le riforme strutturali per aumentare la competitività.
La terza e ultima domanda è se la crisi non era prevedibile. La nostra opinione è che lo fosse sia perché le banche cipriote sono state danneggiate pesantemente dalla ristrutturazione del debito greco che esse detenevano, sia perché il prestito russo di emergenza del gennaio 2012 per 2,5 miliardi di euro a scadenza di 4,5 anni evidenziava una situazione pericolosa, sia infine perché da marzo 2012 le agenzie di rating avevano cominciato a classificare i titoli di stato ciprioti come "spazzatura". La richiesta di Cipro di intervento ai fondi salva-Stati europei del giugno 2012 non doveva portare dopo nove mesi a decisioni che hanno il sapore dell'improvvisazione e non solo per le riunioni notturne dell'Eurogruppo e della troika.
L'Eurozona e l'euro sono troppo importanti per decisioni che potrebbero spaventare i depositanti e i mercati. Sarebbe un vero peccato se la crisi si riacutizzasse proprio adesso che la situazione in Europa si va tranquillizzando.

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