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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2013 alle ore 14:03.

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Con l'incontro in inedita diretta streaming tra Pier Luigi Bersani e i rappresentanti del Movimento 5 stelle nell'ambito delle consultazioni post-elettorali si può dichiarare definitivamente chiuso il «forno» grillino. Il capogruppo del M5S in Senato Vito Crimi, apparso più morbido e realistico della collega della Camera, Roberta Lombardi, lascia aperta solo la via del cosiddetto modello Sicilia: se il governo Bersani dovesse partire il M5S voterà i singoli provvedimenti che rientrano nel suo programma, ma la fiducia mai.

Per trovare la benzina sufficiente a far partire la macchina del suo governo di cambiamento a Bersani resta dunque solo l'altro e più grande (e più indigesto per il popolo della sinistra) «forno» del centrodestra. Ossia Pdl, Lega e il nuovo gruppo Gal (Grande autonomia e libertà) formatosi in Senato con fuoriusciti azzurri, leghisti, di Grande Sud e del Movimento delle autonomie apposta per consentire l'eventuale nascita di un governo a guida Pd.

Lo schema delle uscite dall'Aula
Il segretario del Pd esclude una grande coalizione e lavora sullo schema «non ostacolare» la partenza della legislatura: il voto favorevole del gruppo Gal, e magari anche della Lega, e l'uscita dall'Aula di Palazzo Madama dei senatori del Pdl come segnale di non-sfiducia (in Senato l'astensione non è possibile perché vale voto contrario). Uno schema che a Silvio Berlusconi potrebbe anche andar bene, a patto che si raggiunga un accordo chiaro per l'elezione di un presidente della Repubblica a lui non ostile. Qui il vero nodo, qui la trattativa più o meno segreta apertasi in queste ore. C'è tempo fino a domani, quando Bersani - prendendosi qualche ora in più proprio per trovare la quadra con Pdl e Lega - dovrebbe tornare al Quirinale per riferire a Giorgio Napolitano sui numeri in Parlamento. «La mia intenzione è, nella giornata di domani, di portare gli esiti delle consultazioni al presidente della Repubblica -. Naturalmente, se le forze politiche hanno bisogno di riflettere, sarò flessibile. Non è questione di un'ora in più o in meno». Insomma, la salita al Colle potrebbe slittare anche a venerdì mattina. Bersani aspetta Berlusconi, che solo domani tornerà a Roma.

La Convenzione per le riforme al Pdl
In questa chiave – come step verso l'accordo sul Quirinale - appare sempre più importante la costituzione di quella Convenzione per le riforme che Bersani ha tirato fuori dal cilindro il giorno dopo la non-vittoria o la mezza sconfitta. Si tratta in realtà di una vecchia idea di Luciano Violante, che con Giuliano Amato presentò una proposta di legge in tal senso qualche anno fa: una commissione redigente esterna con il compito, su mandato del Parlamento, di riformare la legge elettorale e la seconda parte della Costituzione entro un tempo prestabilito - ad esempio sei mesi - senza la possibilità di presentare emendamenti da parte del Parlamento, chiamato così solo alla ratifica finale. Rispetto all'idea originaria cambia ora la composizione della commissione: non più formata da personalità esterne al Parlamento, nell'idea del Pd sarebbe formata da parlamentari in rappresentanza delle varie forze politiche; da rappresentanti delle Regioni, dei Comuni e delle Autonomie; e infine da rappresentanti del mondo imprenditoriale, sindacale e dell'associazionismo. E la presidenza di questa commissione, che Bersani ha già battezzato Convenzione, andrebbe a un esponente del centrodestra. Gaetano Quagliariello, lo stesso segretario Angelino Alfano, forse il Cavaliere in persona. L'offerta a Silvio Berlusconi di presiedere la commissione riformatrice non è ancora stata fatta formalmente ma la porta è aperta, dipenderà da Berlusconi, è una delle carte sul tavolo del Pd per convincerlo a far partire la macchina del governo Bersani.

La quadra su un Capo dello Stato di «garanzia»
Infine la casella più importante, quella del Quirinale. Bersani non vuole legare formalmente la partita del Colle a quella della formazione del governo. Né potrebbe, visto che il governo dovrebbe partire subito mentre per l'elezione del nuovo Capo dello Stato occorrerà probabilmente aspettare fine aprile. Ma certo entro venerdì un nome di garanzia per il Cavaliere dovrà uscire dal cilindro. A Berlusconi serve un Capo dello Stato che non gli sia ostile, che da presidente del Csm operi la moral suasion nei confronti dei magistrati, e che sia nelle condizioni di firmare un giorno la grazia ove ce ne fosse bisogno... Dal Pdl si sono fatti i nomi di Gianni Letta, Antonio Martino, Lamberto Dini. Ma l'accordo, se si troverà, si troverà con ogni probabilità su una personalità di centrosinistra sia pur non ostile al centrodestra: i nomi che circolano in queste ore sono quelli di Giuliano Amato, Luciano Violante, Sergio Mattarella e anche Franco Marini, che ha il vantaggio di essere gradito a Bersani. Ma non è da escudere qualche sorpresa: il presidente del Senato Pietro Grasso, uomo di cui il Cavaliere ha stima, o la radicale Emma Bonino, certo non in rapporti affettuosi con il leader del Pdl ma di sicura garanzia nei confronti dei magistrati. Ed è sempre sul tavolo la rielezione di Giorgio Napolitano, sulla quale il Pdl punta nonostante il fatto che l'interessato abbia ribadito più volte il suo no.

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