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Questo articolo è stato pubblicato il 28 marzo 2013 alle ore 13:58.

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Mark ZuckerbergMark Zuckerberg

È ancora giovanissimo ma ha già creato il social network più diffuso al mondo. Mark Zuckerberg è quello che si può definire un genio. E adesso che il suo Facebook gongola su numeri stratosferici (oltre un miliardo di iscritti in tutto il mondo), il ceo con la faccia da ragazzino che indossa solo felpe ha in mente di entrare in politica.

Sia chiaro, "Zuck" non vede nel suo futuro un posto in parlamento. Per uno che scrive codici html da mattina a sera sarebbe un dramma esistenziale. Ma le sue fortune economiche lo hanno spinto ad impegnarsi nel sociale, e soprattutto nell'inserimento degli immigrati negli Stati Uniti d'America.

Da qui la decisione di fondare una lobby (in America le lobby sono decisamente legali e molto influenti nella politica) che possa servire a influenzare, appunto, le decisioni del governo di Washington. Un modo per farsi sentire, a suon di quattrini ovviamente.

Zuckerberg ha intenzione di dar luce a un centro di potere con un budget di cinquanta milioni di dollari. E per iniziare, ne avrebbe pronti circa venti da investire. I rimanenti arriveranno da altri celebri statunitensi molto vicini a Mark, a partire dal suo compagno di stanza ai tempi di Harvard, Joe Green, che secondo quanto scrive il Wall Street Journal è pronto ad affiancare Zuckerberg in questa nuova sfida.

Ma nel progetto rientrerebbe anche Reid Hoffman, fondatore di Linkedin. E poi Rob Jesmer (ex direttore esecutivo del National Republican Senatorial Committee) e Joe Lockhart (capo delle comunicazioni di Facebook ed ex consulente alle comunicazioni sotto l'amministrazione Clinton).

L'intento primario della lobby pensata da Zuckerberg riguarderebbe la legge sull'ottenimento della cittadinanza americana per gli immigrati. Una legge rigida che spesso impedisce a tanti giovani talenti e lavoratori del mondo "tech" di inserirsi, almeno secondo Zuck e i suoi amici. Una potente lobby sarebbe in grado di far pressione sulla politica per abbattere certe barriere sulla cittadinanza. Perché in America funziona anche così.

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