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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2013 alle ore 19:07.
I dieci saggi nominati da Giorgio Napolitano per trovare una soluzione alla crisi politica partendo dalle cose da fare è un modo per stemperare il clima e spostare in là la questione del governo, dopo l'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Lo dice chiaramente Dario Franceschini, che con Enrico Letta fa parte della direzione collegiale che di fatto accompagna Pier Luigi Bersani nella delicata trattativa sul Colle. «I due gruppi ristretti indicati ieri da Napolitano sono una soluzione utile, che può aiutare, ma che non può essere sostitutiva del luogo in cui certe decisioni si devono prendere, ovvero il Parlamento, né mi pare una soluzione risolutiva», dice Franceschini.
Tolta di mezzo la questione delle sue dimissioni anticipate – decisione che ha tra l'altro allontanato la prospettiva di voto immediato a fine giugno-inizio luglio togliendo un'arma potente dalle mani di Silvio Berlusconi – Napolitano ha dunque indicato un metodo di lavoro valido innanzitutto per l'elezione del suo successore. Al quale spetterà il compito di provare a fare tra un mese quel governo di scopo che non è riuscito ora a Napolitano.
Un metodo per eleggere il Capo dello Stato
Due settimane di tempo per stemperare il clima e mettere a punto il metodo della condivisione, dunque. Metodo che già qualcuno ha battezzato LettaG/E, alludendo a Gianni ed Enrico come "pontieri" tra Pdl e Pd. Ad ogni modo i numeri parlano chiaro: il centrosinistra, che come si è dimostrato non è in grado di far partire un governo che abbia la maggioranza al Senato, ha invece la possibilità di eleggere praticamente unilateralmente il Capo dello Stato. Su 504 grandi elettori, Pd e Sel ne hanno 495 (senza calcolare i senatori a vita). Questo dato lascia aperte due sole strade: o un'elezione condivisa tra una rosa di personalità non sgradite al centrodestra ma provenienti dal centrosinistra (i profili potrebbero essere quelli di Giuliano Amato, Luciano Violante, Franco Marini, Sergio Mattarella), oppure lo strappo di un'elezione a maggioranza di una personalità che non sia di "garanzia" per il Cavaliere. Persa la partita del governo di cambiamento, il Pd di Bersani non ha nessuna intenzione di perdere la partita del Colle. Fosse anche l'ultima.
La debolezza del Pdl
Da qui la debolezza oggettiva in cui si trova il Pdl dopo la decisione di Napolitano di restare al suo posto fino all'ultimo dei suoi giorni: la prospettiva delle urne in piena estate, accarezzata da Berlusconi per sfruttare il vento dei sondaggi favorevoli e non dare tempo a Matteo Renzi di portare a compimento la sua battaglia per la premiership del centrosinistra, sfuma proprio mentre si concretizza la possibilità di ritrovarsi al Quirinale un Romano Prodi (non va sottovalutata l'apertura fatta ieri da Beppe Grillo sul suo nome). Da qui il nervosismo degli azzurri in queste ore, con Fabrizio Cicchitto che dà ai saggi l'ultimatum di 10 giorni per trovare una soluzione e nota come la soluzione trovata da Napolitano non risolve nulla.
La paura del voto del Pd
Di contro, la strada dell'elezione di un presidente della Repubblica a maggioranza significherebbe chiudere la possibilità di un governo di scopo e aprire la strada di un rapido ritorno alla urne, se non in piena estate ad ottobre. E qui si inseriscono le divisioni del Pd. Se infatti la prospettiva di fare un governo insieme a Berlusconi è invisa alla maggioranza dei parlamentari democratici, è anche vero che quasi nessuno vuole davvero tornare al voto subito. Non Renzi, che ha appunto bisogno di qualche mese di tempo per preparare la sua battaglia per la premiership, non Letta e Franceschini, non Beppe Fioroni e tutti gli ex popolari, non Anna Finocchiaro, non i veltroniani e neanche i giovani turchi di Matteo Orfini e Andrea Orlando. Anche tra i bersaniani doc i dubbi sono comprensibilmente molti.
La possibile convergenza sul metodo Napolitano
Quindi le diverse debolezze, da una parte il timore del Pdl di avere per i prossimi 7 anni un presidente della Repubblica ostile e dall'altra il timore del Pd di una batosta elettorale in caso di immediato ritorno alle urne, potrebbero spingere nei prossimi giorni verso la soluzione fin qui rigettata da tutti: un governo di scopo, mix di tecnici e politici, che faccia le cose urgenti per il Paese a cominciare dalle misure economiche e dalla riforma elettorale e traghetti il Paese alle urne non prima di un anno. La soluzione Napolitano, appunto.
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