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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2013 alle ore 21:16.

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Cala il sipario su Spip, la Società per gli insediamenti produttivi di cui il comune di Parma deteneva la maggioranza. È infatti arrivata la sentenza del tribunale (giudici Roberto Piscopo, Nicola Sinisi e Pietro Rogato) che dichiara il fallimento della partecipata comunale. Debito superiore ai 100 milioni. La richiesta di concordato avanzata dal socio pubblico non è stata quindi accolta. Intanto, come anticipato nei giorni scorsi dal procuratore capo Gerardo Laguardia, la procura cambierà l'imputazione agli ex amministratori della società (l'ex amministratore Nando Calestani, l'immobiliarista Paolo Borrettini e dell'ex vicesindaco Paolo Buzzi del Pdl) sui quali stava indagando per abuso d'ufficio, aggiungendo l'ipotesi della bancarotta fraudolenta.

«Fin dai primi annunci - ha commentato il consigliere comunale del Pd Massimo Iotti -la giunta Pizzarotti ha cercato di far passare il credo del debito gestibile, di una situazione sotto controllo, di un sistema società partecipate risanabile. Il fallimento di Spip mostra la sconfitta di quel teorema, ennesimo proclama mancato». In effetti a Parma, dove i grillini governano da un anno, saranno i cittadini a pagare salato il costo della crisi, a colpi di tasse alle stelle e rincari dei servizi pubblici. Un rigore di stampo "montiano" per tenere in piedi il bilancio. Un vero paradosso, però, per il Movimento 5 stelle. «Quello che si deve evitare è la supponenza, l'auto-referenzialità fine a se stessa, i proclami privi di sostanza. Quello che si deve fare è riportare seriamente i problemi di parma su un tavolo di responsabilità condivisa», aggiunge Iotti. Insomma, il dilemma del governo nazionale si ripropone anche nel capoluogo emiliano.

La vicenda Spip è quella della compravendita di terreni che, nell'arco di poche ore e di fronte al medesimo notaio, venivano ceduti e acquistati raddoppiando il proprio valore. I giudici hanno dichiarato il fallimento della società rigettando la richiesta di concordato preventivo inoltrata dal comune circa un anno fa, ritenendo in sostanza troppo deboli i presupposti su cui era fondata. Scrivono infatti Piscopo, Sinisi e Rogato: «Il mancato avveramento di quelle stesse condizioni alle quali il professionista asseveratore ha subordinato la fattibilità del piano di concordato, comporta la non fattibilità conclamata dello stesso. Né appare ipotizzabile che il tribunale possa concedere un ulteriore termine - che tra l'altro sarebbe di natura indefinita- in attesa del verificarsi di tali condizioni».

A ben vedere, aggiunge il collegio dei giudici, «si può giungere ad affermare che allo stato un vero e proprio piano concordatario ancora non esiste posto che lo stesso è in itinere essendo subordinato al verificarsi di presupposti e condizioni non solo non ancora avveratisi, ma sul cui avveramento prima ancora che sul quando, nessuna prognosi può fondatamente formularsi».

Le condizioni a cui si fa riferimento, riguardano una complessa rete di incastri in finanziamenti e sovvenzioni a Spip il cui risanamento prevedeva, nelle linee generali, la creazione di una newco in cui sarebbero confluiti i terreni Spip 2 e 3 e i debiti verso le banche, mentre a Stt (la holding delle partecipate del comune) sarebbero stati ceduti i diritti sui risarcimenti del danno dervanti dalle azioni di responsabilità, in cambio di una liquidità di 2,8 milioni. Il tutto però subordinato all'ok delle banche al finanziamento di 13 milioni per Stt, condizione che non si è verificata.

Da qui la decisione dei giudici, che hanno nominato come curatori della società Roberto Perlini e Antonella Lunini, e hanno fissato per il 17 luglio l'udienza per verifcare lo stato di passivo della società. In comune intanto l'assessore al bilancio Gino Capelli si è preso 48 ore di tempo per leggere le carte, e dovrebbe convocare per lunedì una conferenza stampa. Lo stesso Capelli ha garantito nei giorni scorsi che un eventuale fallimento di Spip non avrebbe compromesso il rating bancario dell'amministrazione.

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