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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2013 alle ore 17:55.

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A vederli combattere sui fronti caldi di Aleppo e del nord della Siria sono loro i gruppi più organizzati. Non si fanno spaventare quando i tiri di mortaio del regime cadono vicino e l'assordante boato semina il panico fra i giovani ribelli. Non sprecano i colpi. Sono molto disciplinati. Si muovono con la destrezza di chi ha combattuto per molti anni in lunghe guerre come in Iraq o in Afghanistan. I gruppi salafiti, nelle cui fila militano jihadisti stranieri, stanno crescendo di numero. Soprattutto nella provincia nordorientale di Idlib, territorio sotto il controllo delle forze di opposizione. Con i giornalisti sono estremamente diffidenti, spesso scontrosi: non rilasciano interviste e possono avere reazioni estreme quando si accorgono della macchina fotografica o della telecamera puntata su di loro.

In disparte, al riparo da occhi indiscreti, lo scorso ottobre, ad Aleppo alcuni dei civili rimasti in città ci avevano fatto parte di una loro preoccupazione: quelle lunghe barbe, l'accento straniero e le fasce nere inneggianti ad Allah intorno al capo di molti miliziani spiegavano meglio di tante parole la metamorfosi che aveva travolto l'opposizione siriana. Nel mondo dell'Islam, i salafiti sono tra i movimenti più radicali. Predicano una genuina interpretazione del Corano e della sharia, la legge islamica, e propugnano un ritorno alla purezza delle origini. Ma in Siria il salafismo non è un monolite. C'è chi auspica uno Stato islamico, chi ne abbraccia solo i precetti religiosi, e chi ha fatto del Paese l'ultimo fronte del jihadismo internazionale. Come Jabhat al-Nusra li-Ahl al-Sham, il movimento che la comunità internazionale guarda con crescente preoccupazione.

Inserita dagli Stati Uniti nella lista delle organizzazioni terroristiche lo scorso dicembre. Emerso nel gennaio 2012, con un annuncio su Internet in cui incitava alla jihad contro il regime di Damasco, il fronte al Nusra è' il gruppo più vicino all'ideologia di al-Qaeda. Ed è divenuto così forte militarmente, e così popolare, soprattutto nelle campagne intorno ad Aleppo, che ormai il Libero esercito siriano (Fsa) – la forza militare dell'opposizione composta soprattutto da disertori dell'esercito del regime- ha accettato (malvolentieri) il suo ruolo primario nella guerra per rovesciare il presidente siriano Bashar al-Assad. La conquista della base militare di Sheikh Suleiman, lo scorso 11 dicembre, è stata la prima grande dimostrazione di forza di Al Nusra. Una base protetta molto bene, strategica, che l'Fsa da solo non era amai riuscito ad espugnare. Ma si tratta di una convivenza scomoda. E molto fragile. L'agenda tra le due formazioni è del tutto inconciliabile. Se l'Esercito libero siriano chiede il sostegno della comunità internazionale – soprattutto armi - giustifica la lotta armata come una legittima reazione all'aggressione di un regime spietato, e promette la creazione di uno stato democratico dove convivranno in pace tutte le etnie e le minoranze religiose, nell'agenda di Jabhat al-Nusra il rovesciamento del regime è solo la prima tappa di un processo il cui fine è l'instaurazione di un califfato islamico in Siria. Nei suoi infervorati proclami ripudia l'occidente e gli Stati Uniti. Accusa la stessa Turchia, che ospita oltre 100mila profughi siriani sul suo territorio, di non essere abbastanza islamica. Jabhat è finora il solo movimento ad aver rivendicato attacchi suicidi contro i compound del regime. Almeno 45. su un totale di circa 60.

«Nelle sue fila militano combattenti dell'Aqi (al Qeada in Iraq). Sono loro ad aver insegnato le tecniche degli ordigni improvvisati. Loro ad aver portato i kamikaze in un paese dove erano praticamente sconosciuti – ci spiegava Abu Mohammed, un comandante di una milizia locale che combatte a fianco dell'esercito libero siriano - Ma se dobbiamo scegliere tra restare senza armi e senza aiuti internazionali o liberare la Siria insieme a loro, non abbiamo alcun dubbio». Stigmatizzare al Nusra come un fenomeno straniero, estraneo alla popolazione siriana, destinato al fallimento, sarebbe fuorviante. Al Nusra è ormai così popolare che ad Aleppo è uscita allo scoperto. Ha installato un suo quartiere generale, mentre nelle province settentrionali ha aperto una serie di uffici dove viene svolto quel servizio di "Welfare islamico", che ha reso tanto popolari e forti altre formazioni islamiche in diversi paesi arabi. . A ridosso del confine turco, i rappresentanti di Nusra dirimono liti tra i civili, a volte distribuiscono medicinali e carburante. È tuttavia molto difficile conoscere con precisione la sua struttura. Si parla di almeno 5mila guerriglieri, divisi in brigate, reggimenti e plotoni ( a Damsco invece agiscono in piccole cellule clandestine). Nella sua struttura di comando sarebbero presenti jihadisti stranieri. La sua base, invece, è rappresentata in gran parte da siriani, reclutati soprattutto nelle campagne. Ce lo aveva confermato Yousef Mohammed Mansour, un ex tenente dell'esercito di Assad che ora comandava un plotone dell'Fse stanziato nell'antico suq di Aleppo: «Non c'è alcun dubbio che ci sono mujaheddin stranieri nelle fila di Jabath al-Nusra – ci spiegava - ma ci sono anche molti siriani di Aleppo e della campagna. Io ho un fratello e un cugino che sono entrati a far parte di Nusra». Il movimento ama la riservatezza. Su Abu Mohammad al Golani, indicato dai media locali come il suo misterioso leader, si sa davvero poco. Ma non è il solo movimento radical-salafita presente nel Nord del Paese. Ad Aleppo basta una strada anonima, lunga cinquanta metri, per passare da un quartiere animato a uno deserto, dove il silenzio è rotto solo dalle raffiche. Come a Bushtan al Bashar, uno dei diversi fronti della città. Prima diffidente, un capo locale del movimento Kata'ib Ahrar al-Sham , il gruppo salafita indipendente più numeroso ad Aleppo, aveva accettato di parlarci: «Con Jabhat al Nusra le relazioni sono molto buone. Sono nostri fratelli. A volte combattiamo con loro, ma non siamo i soli. Il nostro obiettivo comune è far cadere il regime».

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