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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2013 alle ore 17:25.

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Delude l'asta slovena e l'Ocse bacchetta Lubiana sulla necessità di riformare senza indugi con una bad bank il sistema bancario. Due colpi di cannone in un giorno sparati al paese alpino assediato dai mercati che la vedono già come la prossima Cipro tra le nevi. Ma andiamo con ordine. La Slovenia ha venduto 56 milioni di euro in T-bill, mancando l'obiettivo d'asta di quasi la metà mentre sono aumentati i costi di rifinanziamento in un momento in cui il Paese lotta per evitare un piano di salvataggio internazionale.

La Slovenia ha venduto 32,250 milioni di euro a sei mesi con un interesse dell'1,7%, rispetto al 1,5% della precedente asta del mese scorso. Inoltre ha piazzato anche 23,8 milioni di euro di T-bill a un anno a un tasso del 2,99%, secondo quanto dichiarato dal ministro delle Finanze, che aveva però l'obiettivo di piazzare almeno 100 milioni di euro. Purtroppo il ministero ha ricevuto offerte pari solo a un totale di 81,7 milioni di euro.

«L'asta di oggi è un altro colpo alla credibilità del governo - ha detto Andraz Grahek, partner presso Capital Genetic a Lubiana –. Sembra che le stesse banche nazionali siano riluttanti a finanziare lo Stato a interessi così bassi mentre si preparano per l'asta di giugno di circa 1 miliardo di euro, che la Slovenia ha fatto diventare il punto di riferimento per ripagare i debiti in scadenza».

Il parere dell'Ocse
La Slovenia, in preda a una grave recessione economica, deve riorganizzare con urgenza il proprio settore bancario e avviare nuove riforme per stabilizzare l'economia, tra cui in particolare le privatizzazioni. Queste le principali raccomandazioni dell'Ocse in un rapporto in cui analizza i problemi di Lubiana e fornisce 15 suggerimenti sulla loro soluzione. Lo studio arriva con tempismo in un momento che vede la Slovenia e il suo sistema bancario tra i focolai di preoccupazione della zona euro, come possibile nuova Cipro. «La priorità più urgente é risanare il settore bancario», sottolinea l'Organizzazione, rilevando che «la Slovenia deve fare fronte al rischio di una prolungata recessione della sua economia e di un accesso ridotto ai mercati finanziari. Sono necessarie nuove e radicali misure appena possibile per evitare tale scenario».

L'Ocse prende atto delle iniziative finora varate dal Paese per risanare i conti pubblici, ma le giudica troppo temporanee. In primo luogo Lubiana deve risanare il bilancio delle banche e assicurare la patrimonializzazione delle più «vitali», preferibilmente attraverso aumenti di capitale, in modo da rilanciare il credito e sostenere l'attività economica. Pur accogliendo con favore la creazione di una 'bad bank' in cui convogliare gli attivi tossici degli istituti di credito, l'Ocse lamenta la scarsa trasparenza del suo funzionamento e mostra preoccupazione per le possibili ingerenze politiche.

L'Organizzazione raccomanda anche alla Slovenia di privatizzare le banche di proprietà pubblica, indicazione riferita ai tre principali istituti del Paese, tutti di proprietà statale. Anche se le banche sono state ricapitalizzate più volte con denaro pubblico, secondo l'Ocse restano vulnerabili per l'accumularsi di sofferenze e quindi saranno necessarie nuove iniezioni di capitale.

Le sofferenze hanno raggiunto i 7 miliardi, il 14,4% degli impieghi e il 20% del Pil.
Tra le raccomandazioni dell'Ocse anche quella di rendere più rigidi i criteri per organizzare i referendum legislativi, dopo che nel 2011 la riforma delle pensioni é stata bocciata da un referendum che ha precipitato il Paese in una crisi politica che ha portato alla caduta del governo di centro-sinistra di Borut Pahor.

L'Organizzazione propone anche la riduzione della presenza pubblica nei gruppi industriali del Paese. In base alle più recenti previsioni dell'Ocse, la Slovenia accuserà una recessione del 2,1% nel 2013, seguita da un aumento del Pil dell'1,1% nel 2014.

Troppe sofferenze
Le sofferenze hanno raggiunto i 7 miliardi di euro ovvero pari al 14,4% degli impieghi (dall'11,2% nel 2011), ma al 20,5% nelle tre maggiori banche (dove circa 1/3 degli impieghi alle imprese è in sofferenza (fonte Fmi).

Il settore finanziario sloveno è cresciuto ipertroficamente dopo il 1991 nell'intento di creare dei grossi gruppi finanziari nazionali che sono andati a finanziarsi nel sistema bancario pubblico che si è così ritrovato in mano le azioni di queste mega-gruppi. Nel 2008, con l'esplodere della crisi, questi nuovi grandi gruppi si sono trovati nell'impossibilità di restituire alle banche il denaro ricevuto in prestito. Le azioni possedute dalle banche, come garanzia del prestito, hanno preso a valere sempre meno creando un buco nelle casse.

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