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Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2013 alle ore 20:10.
L'ultima modifica è del 12 aprile 2013 alle ore 17:33.

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«Non ci penso proprio». Così Umberto Bossi, contattato telefonicamente dall'Agi, ha risposto a chi gli chiedeva di commentare le indiscrezioni di stampa secondo cui si sarebbe recato da un notaio per depositare il simbolo di una nuova formazione politica, insieme alla moglie, Manuela Marrone. Allora, resterà nella Lega? «Sì - ha risposto il Senatur - Non metterei mai in gioco mia moglie in queste cose qui. Si sono confusi con il giornale di cultura e identità creato da Giuseppe Leoni», ha aggiunto il presidente federale del Carroccio.

Solo pochi minuti prima, era arrivata la notizia, riportata dall'Ansa, secondo cui il leader del Carroccio, accompagnato dalla moglie Manuela e da alcuni fedelissimi, avrebbe depositato gli atti per la nascita di un nuovo soggetto politico. Un ultimo passo, insomma, prima di una possibile scissione della Lega Lombarda, fondata il 12 aprile 1984 dal senatur. Che comunque i segnali di un distacco non manchino lo conferma anche la notizia, seguita al primo annuncio di una visita di Bossi da notaio, di una telefonata dello stesso senatura al segretario della Lega Roberto Maroni proprio per smentire le voci di un ipotetico strappo all'interno della Lega Nord.

«La notizia è già stata smentita da Bossi e la sua versione è la più verosimile - sottolinea invece a Tgcom24 l'ex capogruppo leghista alla Camera, Marco Reguzzoni - Non so cosa Bossi abbia fatto dal notaio». E conclude: «È una cosa venuta fuori la sera e già smentita, da quello che so è stato tutto archiviato».

Ad appena una settimana dall'evento di Pontida, la Lega vive una fase di profonda divisione. Dalla località bergamasca di Pontida, a via Bellerio a Milano sede della Lega, la distanza si conta in poche decine di chilometri, eppure pare vi sia un abisso. Forse il prato verde, la natura primaverile, suggeriva ampi sorrisi, pacche sulle spalle, rassicurazioni e promesse di bonaccia. Che poi tornando nel grigiore della città, sono stati subito cancellati e tramutati in ringhiose minacce. Il sole non ride più.

Il simbolo celtico s'è oscurato, la scure minacciosa sta per abbattersi su Marco Reguzzoni, ex capogruppo alla Camera, più altri cinque esponenti della Lombardia. Si è dunque alla resa dei conti. Sul prato verde s'erano viste le contestazioni dei Maroni duellare contro i fan di Bossi. Volare spintoni e insulti. Le ferite ci sono, il disagio anche. La voglia di fare piazza pulita nata con il congresso dello scorso anno, dove i militanti si erano presentati con le scope, Maroni era stato eletto segretario e Bossi messo all'angolo, quella voglia è ancora in parte da esprimere.

Domenica Bossi aveva rassicurato i fedelissimi: «Io ho fatto la Lega non per romperla... se qualcuno ha esagerato a dire che tutto va bene, è un leccaculo. La Lega non si sta dividendo come scrivono i giornalisti, ma qualche volta la base viene trattata un po' male, si finisce per escluderla e contare poco. Ma credo che tutto è ancora rimediabile». Sante parole, ma ora, ad appena una settimana di distanza, c'è qualcosa da rivedere, riguardo a quelle affermazioni.

Tanto che nuovamente si vede costretto a lanciare anatemi, minacciando di lasciare il movimento se non verrà fermata la faida nel partito. «Questi sono un po' matti - ha detto il Senatùr rispondendo sul caso Reguzzoni - Alla fine non resterò lì neppure io, se va avanti così». Maroni che se l'era presa tanto con chi a detta sua, gufava contro l'unità del partito, ora si sta smentendo da solo. Un fatto è certo, stanno crescendo e distinguendosi le due anime del carroccio. Maroni vuole porvi rimedio, epurando. E lo fa con distacco, annuncia che il "caso" è seguito dal segretario lombardo Matteo Salvini che si affretta a precisare che nella Lega non c'è alcuna volontà di epurazione, ma solo la volontà di dialogo per «combatte il comune nemico, che è a Roma e non in Lombardia, tutto si può discutere e accomodare"» Ma il fautore della linea dura ha i suoi piani spalmati sull'intera Padania: cioè far fuori coloro che sono in disaccordo con la linea della segreteria. Pesa, quanto pesa, la sconfitta elettorale.

Il risultato lombardo, che ha dato un Governatore leghista alla regione, non supplisce il magro risultato nazionale, e quando si cerca un capro espiatorio, questo deve saltare fuori, costi quel che costi. Così si cercano i "venduti" qua e là. In Veneto il segretario Tosi pare si stia preparando a far votare dal consiglio nazionale a Padova i provvedimenti disciplinari contro i "ribelli". Giovanni Furlanetto è un consigliere regionale del Veneto, domenica a Pontida sorreggeva con altri uno striscione dove si chiedeva subito un congresso in Veneto e con una cinquantina di esponenti del Carroccio si era opposto alla consegna delle chiavi della sede di Mestre al commissario Muraro, che spiega: «Ho fatto una relazione dettagliata al segretario e al direttivo di quanto è accaduto a Mestre, una relazione corredata da foto».

Ma non vuole essere il cattivo epuratore: «Non ho fatto alcuna proposta di punizioni». Insomma tutti contro tutti, e tutti o quasi contro Bossi perché: «Quelli che hanno fatto sì che migliaia di leghisti smettessero di votarci, non hanno il diritto di parlare ancora».. E detto ciò piace, sempre di più il nuovo carroccio griffato Maroni, Tosi e Zaia, che lascia da parte quelli che, per una ragione o per l'altra, non meritano di continuare nella militanza del partito.

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