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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2013 alle ore 14:40.

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Sulla riforma elettorale i saggi non potevano fare di più. Tra destra e sinistra esiste una differenza di fondo che può essere superata solo con un accordo politico che la commissione non poteva raggiungere. Si tratta della questione della forma di governo. La sinistra vuole restare nell'ambito del modello parlamentare seppure razionalizzato.

Non tutta la sinistra è su questa posizione ma la maggioranza sì. La destra invece vorrebbe introdurre il semi-presidenzialismo di stampo francese con l'elezione diretta del capo dello stato. Su questo punto decisivo i saggi si sono limitati a registrare il dissenso esistente tra loro e tra gli schieramenti che rappresentano.

Da questo dissenso nasce lo stallo sulla legge elettorale. Infatti se la sinistra accettasse il semi-presidenzialismo la destra accetterebbe i collegi uninominali a doppio turno che piacciono alla sinistra ma non alla destra. E la riforma elettorale sarebbe cosa fatta. Sempreché le posizioni ufficiali su questa delicata questione siano sincere e non di natura tattica. Al momento però non si intravede alcun accordo sul semi-presidenzialismo e allora quello che sarebbe un buon sistema elettorale per il nostro paese in questa fase della sua storia rimane lettera morta. Congelato il modello francese, nella relazione del gruppo di lavoro si parla genericamente di altri sistemi elettorali ma senza entrare nel merito.

Su un punto i saggi si sono espressi all'unanimità e in maniera chiara quando affermano che «con l'attuale bicameralismo paritario nessun sistema elettorale garantisce automaticamente la formazione di una maggioranza nelle urne in entrambi i rami del Parlamento». Questa è la premessa per una radicale riforma del Senato tale per cui sia lasciata ad una sola camera la responsabilità dell'indirizzo politico, cioè dare e togliere la fiducia al governo. Una volta fatta questa riforma diventa più semplice affrontare la riforma elettorale, qualunque sia il sistema di voto prescelto. Un sistema elettorale per una sola camera.

Questa è la strada da percorrere. E questa sembra essere la posizione del gruppo di lavoro che infatti propone conseguentemente un Senato delle regioni che dovrebbe assorbire le funzioni della conferenza Stato-Regioni. Una riforma di questo genere si sarebbe dovuta fare molto tempo fa. E non solo per ragioni legate al buon funzionamento del sistema elettorale.

Non manca nella relazione un riferimento all'attuale deprecato sistema di voto, il cosiddetto porcellum. Dopo il riconoscimento unanime che vada superato si accenna ad una serie di modifiche, una delle quali è la previsione di un ragionevole premio di governabilità il cui scopo dovrebbe essere quello di impedire una eccessiva distorsione tra voti e seggi come si è verificata nelle ultime elezioni politiche. C'è qui un richiamo ai tentativi di riforma elettorale fatti prima dello scioglimento delle camere che hanno visto come protagonisti almeno un paio dei membri della commissione. Questi tentativi erano tutti incentrati sulla sostituzione dell'attuale premio di maggioranza con un premio di governabilità. Se fossero andati in porto oggi non ci sarebbe maggioranza nemmeno alla Camera.

I saggi invece tacciono sul fatto che l'assegnazione del premio di maggioranza in due turni, invece che in un turno solo come avviene oggi, risolverebbe con matematica certezza il problema della formazione di una maggioranza di governo, in particolare se accoppiato alla riforma del Senato. La creazione di una maggioranza nelle urne non sarebbe condizione sufficiente di governabilità ma certamente la favorirebbe. Ma qui forse ha giocato l'idiosincrasia della destra nei confronti del doppio turno e quella della sinistra nei confronti del premio di maggioranza.

Last but not least, la relazione dei saggi affronta – a sorpresa – il tema del voto degli italiani all'estero proponendo l'eliminazione della circoscrizione estero. Non è opinione unanime dei saggi. Uno di loro – Mario Mauro – dissente. In ogni caso si tratta di una buona notizia. Quella fortemente voluta da Mirko Tremaglia, e supinamente accettata dalla stragrande maggioranza della classe politica, è stata una cattiva riforma che ha dato pessima prova nelle tre elezioni in cui è stata applicata. Non è questa la sede per una approfondita analisi del suo malfunzionamento. Qui si può solo applaudire al fatto che per la prima volta in un documento ufficiale la si metta in discussione. Il voto agli italiani residenti all'estero va ovviamente concesso ma con altre modalità.

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