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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2013 alle ore 11:06.

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Un'immagine d'archivio che mostra la scena della strage di Capaci in Sicilia, nella quale rimasero uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie e la scorta, nel maggio del 1992 (Ansa)Un'immagine d'archivio che mostra la scena della strage di Capaci in Sicilia, nella quale rimasero uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie e la scorta, nel maggio del 1992 (Ansa)

La Procura di Caltanissetta, prima di analizzare nel dettaglio gli elementi acquisiti al procedimento sul conto degli indagati, ricostruisce le varie fasi attraverso le quali si snodò la deliberazione e la successiva esecuzione del piano stragista poste in essere da Cosa nostra nel triennio 92/94.
Si tratta di una ricostruzione che la Procura effettuare in maniera più completa rispetto al passato, essendo ormai passati in giudicato i processi celebrati a Caltanissetta e Firenze.
La Procura di Caltanissetta – nella richiesta per l'applicazione di misure cautelari firmata dal capo della Procura Sergio Lari, dall'aggiunto Domenico Gozzo e dai sostituti della Dda – è dunque in grado di affermare come le indicazioni provenienti da più collaboratori di giustizia consentono di ritenere provato, con sufficiente certezza, che nell'autunno del 1991 gli esponenti del massimo organismo di comando dell'associazione mafiosa, in una o più occasioni, si riunirono nella provincia di Enna per affrontare proprio il tema della risposta da dare agli organi statuali in conseguenza della pendenza del cosiddetto maxiprocesso in Cassazione e della sua prevedibile nefasta conclusione per gli appartenenti al sodalizio mafioso.

Emerge, infatti, che:
1) da un punto di vista decisionale "strategico" i soggetti di vertice di Cosa nostra si riunirono allo scopo di elaborare «un nuovo progetto politico» da realizzare attraverso «la destabilizzazione dello Stato per l'apertura di trattative con nuovi referenti politici»;
2) da un punto di vista decisionale "deliberativo", gli esponenti della commissione regionale valutarono, in linea generale, l'opportunità di compiere attentati ed intimidazioni nei confronti di personaggi istituzionali che nell'ambito di ogni provincia mostravano di volere più seriamente opporsi a Cosa nostra.

La Falange armata
Appare interessante osservare come, secondo il contributo desumibile da elementi dichiarativi introdotti in sede processuale, gli appartenenti alla struttura di vertice del sodalizio mafioso discussero anche del fatto che le intimidazioni che si sarebbero dovute porre in essere in quel periodo avrebbero dovuto essere rivendicate facendo uso della sigla "Falange armata".
Ed in effetti alcuni degli attentati di Cosa nostra nel 1993 sul "continente" verranno effettivamente rivendicati dalla "Falange armata", una circostanza che pone in luce il collegamento esistente tra le stragi del 1992 e quelle del successivo biennio.
Sempre nel contesto delle deliberazioni assunte dalla commissione regionale, si addivenne alla decisione di uccidere ben individuati personaggi istituzionali: i giudici Falcone e Borsellino, gli onorevoli Lima, Mannino e Martelli.

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